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  • Germania-Italia senza tempo: da Kant a Machiavelli

    Germania-Italia senza tempo: da Kant a Machiavelli

    • Matteo Quaglini

    Italia-Germania è la partita del nostro immaginario e della nostra vita calcistica. Un classico senza tempo che nella storia del calcio si è giocato a Roma come Berlino, a Buenos Aires come a Madrid, a Città del Messico come a Dortmund. Si è giocato in Inghilterra come in Belgio; insomma ad ogni latitudine sia nel nuovo che nel vecchio mondo. Stasera a Berlino va in scena un’amichevole pre -campionato europeo che deve dirci soprattutto se la nostra nazionale sia in grado di confermare i passi in avanti - sul fronte dell’essere una squadra - fatti registrare nella precedente amichevole con l’altra grande forza calcistica, la Spagna. 

    La partita ci darà risposte, ma non saranno definitive, al più indicative su di un certo andamento che la nazionale di Conte potrà tracciare da qui all’esordio in Francia; in un Europeo che non la vede né storicamente né attualmente, tra le favorite. Eppure tra le pieghe di un quinquennio di involuzione del nostro calcio in termini di competitività generale (eccetto storiche conferme) e di campioni conclamati, qualcosa nel sottobosco del calcio italiano, timidamente, si muove e tenta di rinascere. 

    Stasera giocare una partita contro i campioni del mondo in carica e farlo bene, ribattendo colpo su colpo, darebbe, non l’idea compiuta di un definitivo ritorno alla competitività, che non potrebbe esserci visto che una sola gara e per di più amichevole non può essere eloquente dato tecnico, ma manifesterebbe un altro senso: quello di appartenenza ad un movimento che seppur carente in questo momento di giocatori molto importanti – grande anomalia rispetto alla sua storia passata - cerca di risalire la china con idee e l’operosità della sperimentazione. 

    Tutto questo proprio contro la macchina perfetta della cartesiana organizzazione tedesca che i tedeschi alimentano per loro storia da decenni e che hanno sviluppato in nuove direzioni di politica sportiva e struttura tecnica a partire dal 2002, all’indomani della finale mondiale persa con il Brasile. 

    Prima di oggi in fondo e qui ci vuole una divagazione storica, che spieghi questa contrapposizione tra precisione e organizzazione e talento, è stata sempre viva e manifesta questa sfida sia sul piano culturale che su quello politico, sia sul quello filosofico che sportivo. Italia contro Germania, è una contrapposizione fatta di differenze e di elementi che si toccano. 

    Sul piano culturale la grande filosofia del pensiero germanico e di quello italico si intreccia e miscela, in più correnti di pensiero condivise per studio, Kant e Machiavelli ad esempio; la stessa politica nel senso più ampio del termine ha sempre visto la Germania guardare all’Italia con ammirazione e cupidigia per via di un’eredità – quella imperiale – che molti principi tedeschi hanno voluto cercare di rinverdire cercando di conquistare le nostre soleggianti terre. Siamo stati persino alleati e poi avversari in due guerre con nefaste evoluzioni e risultati. E infine ma non ultimo il calcio. Sì, anche il gioco più bello del mondo ha visto contrapposti questi due stili che per comodità e dovere di una ricerca sempre aperta, abbiamo ridotto a brevi stereotipi. 

    I tedeschi hanno conosciuto il calcio tardi, dopo la seconda devastatrice guerra, quando noi già giocavamo da più di un decennio il campionato nazionale; c’era grande calcio austriaco se vogliamo ricordare qualcosa di attinente al mondo germanico, ma non la grande Germania del calcio. Quella è venuta dopo, a partire dal 1954 in poi, e di lì si è venuta scontrandosi, come aveva fatto per secoli nella filosofia e nella politica, con il nostro stile e carattere. Due stili: uno fatto di testa e logica e l’altro di cuore e passione, due caratteri alti e riconoscibili, storici. Tre sono stati l’Italia – Germania indimenticabili della nostra epoca di calciofili, giocati su questi canoni: La finale del Mundial spagnolo dell’82 quando giocando il nostro calcio fatto di specializzazioni, battemmo, con i colpi di Rossi, Tardelli e le volate Conti, la squadra storicamente più forte fra tutte sul piano mentale e quindi anche la meglio attrezzata a mantenere freddezza contro l’estro. Poi Germania-Italia del 2006 quando vincemmo ai supplementari e ammutolimmo la muraglia umana più famosa tra il tifo d’Europa, quella di Dortmund. 

    Ma la partita che più ha manifestato la contrapposizione di stili e tra le pieghe anche quelle similitudini che per fortuna, ci fanno uscire dalla retorica dello stereotipo, riportandoci alla complessità di un gioco profondo è: Italia-Germania 4-3 scritto e letto tutto di un fiato! 

    I messicani eredi degli Aztechi sanno riconoscere a seconda delle volte il pericolo, o la magnificenza: e non è un caso che abbiano apposto una targa a ricordo perenne, di una partita che è divenuta leggenda non per il gioco ma per il pathos e le emozioni di tutti i tratti simili e diversi che seppe produrre. 

    Mi direte cosa centrino tutte queste sintetiche contrapposizioni con un’amichevole che nel bel mezzo della fase finale dei campionati, arriva quasi inopportuna! Centrano perché anche la più innocua delle gare racconta tra le sue pieghe un possibile, o possibili andamenti, attuali e futuri, e poi perché se a giugno/luglio prossimi dovessimo affrontare la Germania in una gara di classificazione per stabilire chi va dentro e chi esce, allora lì troveremmo ancora una volta questa contrapposizione di stili accesa e spettacolare, con una partita in più che ha raccontato qualche dettaglio che potrebbe tornarci utile per una qualsiasi analisi sul risultato. In fondo e senza la noiosa retorica, Italia-Germania è una continua cronaca, alimentata da una continua storia. 
     


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