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    I tiktoker e gli insulti ai calciatori per fare business: ora basta. Il tifo è sacro

    I tiktoker e gli insulti ai calciatori per fare business: ora basta. Il tifo è sacro

    • Sandro Sabatini
      Sandro Sabatini
    #IostoconIñigoMartinez oppure, in spagnolo, così magari gli arriva: #YoestoyconIñigoMartinez. Per chi non lo sapesse, Iñigo Martinez è un buon giocatore del Barcellona, con validissimo passato alla Real Sociedad e all’Athletic Bilbao, che l’altro giorno è uscito dalla macchina come una sorpresa dall’Uovo di Pasqua. È spuntato faccia a faccia da un bimbetto e gli ha regalato una meravigliosa figura di cioccolata.

    Nel video divenuto virale, si scopre che il bimbetto in realtà è un “tiktoker”. Di professione. Un “content creator”, un “influencer”. Chiamatelo come vi pare, ci siamo capiti perfino tra boomer, cioè noi che i ragazzi fuori dai campi di allenamento li definivamo “tifosi”. Oppure “appassionati” se erano timidi o “fans” se volevamo un tono internazionale. Ce ne sono ancora oggi. Ma purtroppo sembrano in via di estinzione. Il prototipo di “tiktoker”, “creator” e “influencer” non è un tifoso. È un giovane che fa business. E si è evoluto con il tempo. Ha iniziato creando video in cui applaudiva il calciatore o l’allenatore di turno all’uscita dal campo. Ma non rendeva. Pochi click, pochissimi like, appena una manciata di visualizzazioni. Zero sponsor ed entrate. Quindi ha deciso di differenziare il prodotto. Ha proposto al mercato una nuova linea di moda. E gli sta andando benissimo.
     

    Ora il giovane tifoso reale e virtuale si è trasformato in un abile mostriciattolo social. È un rompiscatole uno e trino (“tiktoker”, “creator”, “influencer”) che va all’allenamento con calma, verso la fine. Attende l’uscita dei giocatori. Individua il colpevole più in tendenza. Fa un video, lo riprende e si riprende mentre il calciatore sgasa e lui invece si gasa. Pubblica il video. E alla gente garba. Magari diventa virale. Comunque fa un botto di visualizzazioni che la prossima volta la felpa magari la paga uno sponsor e sono gratis anche le mutande a mezzo culo dai pantaloni.

    Iñigo Martinez ha detto basta. Stop. Ora facciamo i conti. È sceso dalla macchina e all’improvviso il bimbetto furbetto si è trovato un dito da guardare, anziché uno schermo da manipolare. E ha visto da vicino un calciatore che, senza filtri nè hashtag, gli diceva “è l’ultima volta che mi chiami tonto, è l’ultima volta che mi insulti!”. Iñigo Martinez ci ha messo anche un punto esclamativo o forse tre (!!!), che tanto sono gratis e fanno più giovani anche se sgrammaticati.

    Da domani vedremo se davvero andrà così, se il rompiscatole uno e trino sarà intimorito, redento o sposterà il suo business su un altro bersaglio. Di sicuro, non smetterà di lavorare. Perchè il suo è diventato un lavoro. Non è più tifo spontaneo. È tutto costruito. La caccia alla virilità surfa su algoritmi che incoraggiano all’insulto, l’offesa o - ad esser buoni - il sarcasmo. Non l’ironia, quella è per pochi (peraltro alcuni molto bravi).

    #IostoconIñigoMartinez e lo ripeto anche in spagnolo #YoestoyconIñigoMartinez perchè il tifo è sacro e lo sfogo anche, se contemporaneo a una delusione. Ma il business da quattro spiccioli attraverso i social, no. Obiettivamente, riprendersi mentre si insulta un giocatore o - ben più spesso - un allenatore è una schifezza che prima o poi qualche Iñigo Martinez dovrà denunciare anche dalle nostre parti. Come fare? Basta scendere dalla macchina e mettere una faccia al posto di uno schermo, un dito ritto al posto di un polpastrello moscio: questa è l’ultima volta che mi chiami tonto. Anche perchè tanto tonto, poi, Iñigo Martinez non è. Non ci voleva un genio, però ha scopetto che il bimbetto, il rompiscatole uno e trino, lo faceva per soldi e reputazione. Un lavoro. E pensate come va il mondo. Si fanno soldi, si cercano sponsor e si accrescono i follower insultando i personaggi sul web.

    Scusate, ma non è normale. Detto da boomer, forse, ma anche da persona aperta a condividere tutte le mode e le generazioni. Basta con la festa degli insulti e delle offese. Una preghiera: basta, nel nome del tiktoker, del creator e dell’influencer. Amen. 

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