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  • Il City non è imbattibile e soffre proprio il calcio di Inzaghi: se il pari resiste oltre l'ora, l'Inter può farcela

    Il City non è imbattibile e soffre proprio il calcio di Inzaghi: se il pari resiste oltre l'ora, l'Inter può farcela

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Nessuna squadra è imbattibile, tantomeno il Manchester City di Guardiola, che la finale di Champions League la perse solo due anni fa contro gli sfavoriti del Chelsea. Quindi, per la partita di questa sera, non scriverò, né che ha già vinto, né che vincerà. Solo che è oggettivamente più forte dell’Inter per singoli e collettivo, che ha titolari e riserve di maggiore qualità, che è guidato da un innovatore del calcio ispiratore di moduli, sistemi e principi di gioco, ormai in via di attuazione in tutto il mondo.

    Manchester City - Inter (21:00 10/06)

    Premesso questo, ho visto più finali incerte o con esito sorprendente di quante non fossero quelle scontate. Nella prima Champions di Guardiola il favorito era lo United di Alex Ferguson che, per quasi un tempo, menò le danze, salvo spegnersi nella ripresa e, comunque, su un episodio. La volta successiva lo United (sfavorito) partì meglio e rischiò di sorprendere il Barcellona, ma alla fine dominarono i catalani con il loro inarrivabile tiki-taka. Il tiki-taka, adesso, non c’è più. Guardiola attua un calcio posizionale (un’espressione che piace molto ai commentatori) in cui il centro del gioco sia il giocatore, un polivalente in grado di fare tutto con la palla. Non uno per tutti, ma tutti per sapere fare tutto. E’ curioso notare, però, come ha scritto magistralmente Alex Frosio su La Gazzetta dello Sport, che due sconfitte significative del Manchester City, in Premier, siano arrivate una da un allenatore italiano (Antonio Conte) con il 5-4-1 e l’altra da una squadra (il Brentford, per di più all’Etihad) che applicava l’inzaghiano 3-5-2. Ovvero - scrive Frosio - “blocco basso, sponde aeree di Toney per l’inserimento della mezz’ala e azioni partite da lontanissimo”. Ora si capisce bene perché Inzaghi vuole cominciare con Dzeko e proseguire con Lukaku. E anche perché Mkhitaryan (inizialmente in panchina) troverà spazio sul lato opposto di Barella. Un’altra soluzione tattica, questa volta suggerita da Arrigo Sacchi, è quella di verticalizzare immediatamente nelle non molte volte - crediamo - in cui l’Inter saprà riconquistare la palla. Il lancio su Lukaku, che sa difendere, subire urti e smistare per chi arriva (anche Dumfries e Dimarco) potrebbe essere particolarmente indicato.

    Se parliamo, invece, di strategia, l’Inter non deve rinunciare al pressing alto, come, invece, spesso fa. Perché muoversi in maniera compatta, andando a cercare di ostruire le linee di passaggio o, meglio ancora, a rubar palla, può essere premiante. Anche se il discorso non piace ai puristi del gioco, il fallo sistematico, quando si è sorpresi da qualche giocata sulla trequarti, può essere una soluzione, sempre facendo attenzione a non caricarsi di cartellini gialli e a non concedere punizioni pericolose. La qualità migliore richiesta per una finale come quella di Istanbul è l’attenzione, l’anticamera del rispetto dell’avversario, anche del più debole. Figurarsi con il City.

    E’ una partita che va divisa in frazioni: quindici, trenta, quarantacinque. E poi altri quindici. Se all’ora di gioco il punteggio sarà ancora in parità (non necessariamente sullo 0-0), le probabilità di successo dell’Inter aumenteranno all’improvviso. Primo, perché significherebbe che la tattica funziona. Secondo, perché la pressione, già tutta sulle spalle degli inglesi, potrebbe precipitarli nel baratro dell’incertezza. Poi, si sa, basta un dettaglio. Ma in questo Simone e i suoi uomini sono maestri. Guardiola dirige, Simone, se vuole, sa speculare. Però se in fondo, se è arrivata fino a qua, l’Inter può contare su una difesa solidissima, su due esterni di gamba, su un centrocampo non inferiore a quello del City. Infine un terzetto letale: Lautaro, Dzeko e Lukaku. Avanti Inter, la notte si può incendiare.

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