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  • Il coraggio dei giocatori opposto alle minacce da Teheran: l'Iran meritava di battere gli Usa

    Il coraggio dei giocatori opposto alle minacce da Teheran: l'Iran meritava di battere gli Usa

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    E' scorretto, d'accordo, però speravo ardentemente che contro gli Stati Uniti vincesse l'Iran. Per il coraggio dimostrato dalla squadra, che si era rifiutata di cantare l'inno nazionale. Anche se le ragioni politiche non dovrebbero mai interferire, sul campo, con quelle sportive; anche se per paradosso, è proprio l'opinione pubblica americana a sostenere la lotta per i diritti civili in quella Repubblica islamica.

    Eliminati nel proprio girone, i calciatori iraniani torneranno in patria certamente da reprobi, forse da traditori. Avessero vinto, la musica sarebbe stata diversa. Ma dopo quel diniego di cantare l'inno nella partita inaugurale, in segno di solidarietà verso chi muore nelle strade per difendere (anzi acquisire) elementari diritti civili, erano partite le minacce d'incarcerazione e tortura. Non direttamente per loro. Per le proprie famiglie, rimaste in patria, “se avessero continuato a non comportarsi bene”. Lo riporta la CNN, citando una fonte anonima fra i membri della sicurezza delle partite. Va rimarcato come il gesto dei calciatori dell'Iran sia stato davvero coraggioso perché non giunge dopo una vittoria o da un podio. Chi non ricorda Smith e Carlos a Città del Messico nel 1968 mentre celebravano il trionfo nei 200 metri, alzando al cielo un pugno nero guantato? Anche loro, bisogna dirlo, pagarono quel gesto, rappresentativo delle sofferenze degli afroamericani, con la fine delle proprie carriere professionistiche. Ma era quasi 60 anni fa e le loro famiglie non subirono minacce. 

    Le bocche cucite in mondovisione non sono andate giù al governo di Teheran, tanto che alcuni membri della Guardie Islamiche, “accompagnatori” fedeli della squadra, hanno ribadito come quel comportamento sia stato un rischio non solo per i giocatori bensì anche per i loro parenti. Da quel giorno i giocatori hanno dovuto cantare l'inno nazionale, seguito dalla proibizione di uscire dagli ambienti riservati e di rivolgere la parola agli stranieri. Lo stesso ordine è stato impartito all'allenatore, il portoghese Carlos Queiroz.

    Ai giocatori iraniani erano stati annunciati “automobili e regali”, una promessa prontamente rimangiata dopo il rifiuto di cantare l'inno, peraltro accolto da fischi dei numerosi “invitati” dal governo di Teheran a “sostenere” dagli spalti i propri beniamini.

    Nella partita col Galles e con gli Stati Uniti l'inno è stato cantato. Svanito il sogno delle automobili, si spera non si realizzi, invece, un incubo.

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