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  • Milan, il destino di Pioli è nelle mani di Ibrahimovic: perché i numeri da scudetto possono non bastare

    Milan, il destino di Pioli è nelle mani di Ibrahimovic: perché i numeri da scudetto possono non bastare

    • Andrea Distaso
    I numeri non mentono quasi mai. E raccontano molto chiaramente come il Milan abbia cambiato decisamente marcia in un girone di ritorno e in un 2024 non così lontani per rendimento rispetto a quelli della macchina perfetta che è stata sin qui l’Inter. 31 i punti raccolti nelle 10 partite disputate sin qui dalla 20esima giornata in avanti dalla formazione di Simone Inzaghi, lanciatissima verso la conquista dello scudetto, 26 quelli dei rossoneri dopo il successo esterno di Firenze, il quarto consecutivo per la squadra di Stefano Pioli. Se la media per partita della capolista della Serie A è esagerata (3.1), addirittura migliore di quella del Napoli campione d’Italia nella scorsa stagione, i 2,6 per gara della seconda forza del campionato sarebbero assolutamente da tricolore in un’annata “normale”. Tanto che i 65 punti conquistati da Leao e compagni sono vicinissimi ai 66 allo stesso punto del torneo nel 2021/2022, chiuso con la conquista del titolo al fotofinish. Numeri, appunto, che passeranno al vaglio della dirigenza rossonera al momento di decidere del futuro in panchina di Pioli.

    VALUTAZIONI A 360° - Ancora 8 partite, più il percorso in Europa League (l’11 e il 18 aprile andrà in scena il doppio quarto di finale contro la Roma), per avere un quadro più preciso del rendimento di una squadra che paga i due mesi di blackout tra ottobre e dicembre ed una serie impressionante di infortuni ma che mantiene ancora la speranza di chiudere la stagione con un trofeo e con argomenti sufficientementi convincenti per indirizzare gli stati maggiori del Milan verso la permanenza del proprio allenatore, sotto contratto fino a giugno 2025, dopo mesi di speculazioni su altri tecnici e di ipotesi di esonero che non si sono mai concretizzate. Conterà questo ma non soltanto, perché una decisione tanto importante toccherà qualsiasi aspetto relativo alla gestione quotidiana della squadra ed in tal senso, nella naturale dialettica e condivisione di opinioni tra le varie componenti del club, due voci più di altre si eleveranno sulle altre per emettere un giudizio definitivo sull’operato di Pioli. Quelle di Zlatan Ibrahimovic, nuovo uomo forte a Milanello e in via Aldo Rossi, emanazione diretta della proprietà, e chiaramente del numero uno del Milan Gerry Cardinale.

    LE VOCI DEL PADRONE - Il primo ha parlato poco o nulla da quando è rientrato ufficialmente nel club rossonero nella nuova veste di advisor di RedBird soprattutto per la parte sportiva e quindi di tutto ciò che ruota attorno al progetto tecnico rossonero, se non in occasione della comparsata al Gran Premio di Formula Uno in Arabia Saudita, quando si espresse così, a Sky Sport, in merito alla posizione di Pioli: "Per la riconferma deve continuare come sta facendo. Parliamo di un buon lavoro, siamo felici di lui". Era l’8 marzo, è trascorso quasi un mese ed il Milan nel frattempo ha continuato a macinare vittorie e punti, sia in campionato che in Europa League, riabilitando l’immagine di squadra eccessivamente fragile e discontinua vista nei due mesi che hanno di fatto compromesso la rincorsa allo scudetto e sancito la prematura eliminazione dai gironi di Champions League. Obiettivi mancati che hanno fatto storcere il naso di Gerry Cardinale, che solo 7 giorni prima rispetto all’uscita del suo proxy Ibra dichiarava senza mezzi termini: "Tutto ciò che riguarda il Milan deve evolvere. Guarderemo anche al personale, non siamo soddisfatti degli infortuni. Io e Zlatan non siamo contenti che non siamo primi in classifica, ma la squadra è giovane è può migliorare nel tempo. Se compri un giocatore e non ce l’hai a disposizione, cosa paghi a fare il suo cartellino? E’ frustrante. Va migliorato l’aspetto medico nel Milan".

    PROIEZIONE 88 PUNTI - Frasi da tenere ben presenti e che fanno comprendere come la valutazione sull’operato di Pioli e del suo staff sarà fatta 360° e non basandosi esclusivamente su un periodo temporale ristretto, nel quale il Milan e chi ci lavora ha avuto il merito di riconoscere le cause dei problemi dei mesi precedenti e apporre correttivi. Ma nei quali si è potuto lavorare con la mente più sgombra e serena, perché gli obiettivi più importanti della stagione nel frattempo erano sfumati. Il che non significa che la possibilità di fare meglio degli 86 punti ottenuti nell’anno dell’ultimo scudetto non conti nulla: mantenendo l’attuale media di 2,6 punti per partita, la proiezione conduce a 49 punti nel girone di ritorno e ad un totale di 88 a fine campionato. Non male per una squadra che è cambiata molto col mercato della passata estate, ma non abbastanza per insidiare un’Inter che ha viaggiato a ritmi forsennati dal principio e che non ha ancora alzato il piede dall’acceleratore.

    IL PARTITO PRO-PIOLI -  numeri non mentono e ci raccontano dunque una verità che può essere guardata e giudicata da più prospettive. Non si spiegherebbe altrimenti la presa di posizione dell’altra faccia della società milanista, quella più manageriale capeggiata dall’amministratore delegato Giorgio Furlani e dal presidente Paolo Scaroni. Nella recente intervista alla Gazzetta dello Sport, il primo ha affermato: "Nessuno della società ha mai parlato di panchina a rischio. E non sarà valutato per l'Europa League o il derby. La nostra stagione fin qui è stata buona, ma come l'anno scorso c'è una squadra che è andata oltre le previsioni: ieri il Napoli, oggi l'Inter. Ora sarebbe ingeneroso valutarlo in base al futuro percorso in Europa League o all'esito del derby, per quanto importante sia". Il secondo ha ribadito il concetto pochi minuti prima della partita con la Fiorentina: "Io ho sempre detto che Pioli resta perché a me piacciono gli allenatori che vincono e siccome stiamo facendo bene mi piace Pioli, è tutto molto semplice”.

    Otto partite di campionato, più il cammino in Europa League. La stagione del Milan entra nel vivo, nella sua decisiva. Quella della rincorsa ai traguardi e delle conseguenti valutazioni. Tutto ancora aperto, tutto ancora in bilico, giudicando come si è partiti e come si arriverà, senza tralasciare gli incidenti di percorso. Perché i numeri non mentono ma da soli non raccontano tutta la verità.
     

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