Il 'Dottore' allena ancora
Torniamo ai suoi figli, che non solo soltanto i due maschi avuti dalla sua inseparabili moglie, Ines. Ne esiste un numero buono per comporre un piccolo esercito, non di letto ma per ideologia. Nessun allenatore contemporaneo, passato dalla scuola del “Dottore” come calciatore o come apprendista tecnico, ha mai scordato una sola parola degli insegnamenti, tattici e umani, ricevuti da un uomo per il quale il gioco del pallone non poteva venir imprigionato dagli schemi o reso ostaggio del freddo ragionamento tattico. Uno di questi allievi è Marcello Lippi. Giocatore mai oltre una dignitosa media, quando vestiva la maglia della Sampdoria, ma già curioso e attento osservatore dei metodi di allenamento e delle indicazioni di gioco date dal suo allenatore che, appunto, era Bernardini. Tant’è, professionalmente e non solo, Marcello ricorda molto da vicino il suo maestro e non perde mai occasione di celebrarne il nome per bravura e senso dell’umanità. A Bob Vieri, genio tradito da se stesso e babbo di Bobo, il “Dottore” fece rifare tutti i denti pagando di tasca sua. Genova e la Samp rappresentarono l’ultima tappa di Bernardini allenatore. Poi lo volle la Federazione, dopo i disastrosi Mondiali “azzurro tenebra” del 1974, per affiancarlo a Enzo Bearzot. Inutile negarlo. Anzi, dicendo che il trionfo di Spagna 82 portava dentro di sé anche un poco del lavoro precedentemente fatto da Bernardini non deve offendere proprio nessuno. Ma, certamente, furono gli step precedenti a fare in modo che le “teorie del Dottore” diventassero prima storia e poi addirittura vangelo. E nella storia della Fiorentina si trova appunto il tricolore di uno scudetto, quello del 1956, firmato da un groppo mitico guidato alla carica da Pecos Bill Virgili e diretto per cinque stagioni da Fulvio. E nella storia di un Bologna che “tremare il mondo faceva” fa bella mostra il gioiello di Campione d’Italia che la banda Fogli-Bulgarelli-Haller-Pascutti regalò ai tifosi per la regia di un uomo di sport talmente così immenso da trovare un paragone con Enzo Ferrari. Era il 1964. Nieslen faceva gol e Gianni Morandi spopolava con “Andavo ai cento all’ora”. Socmel, che goduria!
Ciascuna cosa ha una fine. “Quando il calcio non mi vorrà più, mi rimarrà la tua mano e io la stringerò ancora più forte” diceva Fulvio alla sua Ines. Se ne andò proprio così. Perdere Bernardini, per il calcio dell’onestà e della lealtà che lui aveva eletto elementi irrinunciabili, fu un colpo davvero grande oltreché doloroso. Certo è che, visti i tempi attuali e le inclinazioni morali discutibili di un mondo sempre più avido di “cibo” assai poco sportivo, una figura come quella del “Dottore” ben difficilmente saprebbe adattarsi al clima pesante e talvolta drogato che, inevitabilmente, farebbe a pugni con la ricercata “grande bellezza”. Restano i suoi “figli” a lottare. Sono sempre di meno. E’ fatale. Ma finchè ce ne sarà anche uno soltanto, figlio dei figli naturalmente, anche Fulvio Bernardini continuerà ad allenare.