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Il dramma di Alisson: "Mi chiamarono e mi dissero che mio padre era morto annegato. Il goal per lui e la 'scelta' di non andare al funerale"
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LA MORTE DEL PADRE - "Quando ho ricevuto la chiamata che mi informava della morte di mio padre, ero a migliaia di chilometri da casa. C'era un oceano di mezzo. Ero a Liverpool, nel bel mezzo della stagione 2020–2021. La sua scomparsa è stata improvvisa, un completo shock. Mia madre mi ha chiamato e mi ha detto che c'era stato un incidente, che mio padre era annegato nel lago vicino a casa nostra. Ricordo di essermi sentito così perso. Sembrava impossibile che mio padre fosse davvero scomparso. Era, come si dice, 'un uomo per tutti'. L'uomo più forte che potessi mai conoscere, un uomo amato da tutti".
CALCIO IN SECONDO PIANO - "Alla sua morte, mi sono sentito distrutto. Non riuscivo a pensare al calcio. Dovevo continuare a ricordarmi che stavamo lottando per un posto tra le prime quattro".
COVID - "È stato ancora più difficile perché tutto è accaduto durante la pandemia e spostarsi per tornare a casa era difficilissimo. Mia moglie era incinta del nostro terzo bambino e il COVID si era riacutizzato in Brasile. Il suo medico le ha ribadito come viaggiare fosse rischioso, quindi ha dovuto restare a Liverpool con i nostri bambini. In quel momento, per uscire dal paese e tornare qui, dovevi sottoporti a 14 giorni di quarantena in hotel al ritorno. Pensare di tornare dal funerale di mio padre e di essere in una stanza d'hotel da solo per due settimane era difficile, ma ancora peggio era immaginare mia moglie da sola. Era nel pieno della gravidanza e qualsiasi cosa poteva succedere. Fu un dolore enorme anche per lei. Amava tantissimo mio padre, anzi scherzavamo spesso sul fatto che lui amasse lei più di me, le dava sempre ragione quando discutevamo. Era la figlia che non aveva mai avuto".
FUNERALE - "Ho dovuto chiamare mia madre e mio fratello per spiegare la situazione. Quella è stata la telefonata più difficile della mia vita. Abbiamo pianto molto, ma alla fine ho capito che mio padre avrebbe voluto che restassi con i miei bambini e con lei e che li proteggessi, nonostante fosse difficile. Così avrebbe voluto, e questo era il modo migliore per onorare la sua memoria. Abbiamo dovuto guardare il funerale via FaceTime tramite il telefono di mio fratello. Ho potuto pregare e piangere con mia madre, oltre a dire addio a mio padre accanto alla sua bara. In quel momento, per quanto strano possa sembrare, dimentichi che segui tutto su uno schermo. Tutti i tuoi ricordi e il tuo amore superano la distanza, e parli con tuo padre nell'eternità. Non avevo più nulla da dirgli. L'unica cosa che potevo dire era 'grazie'. Non solo per essere stato mio padre, ma per essere stato mio amico".
VICINANZA DEI COMPAGNI - "Nei due o tre giorni successivi mi sentivo come avvolto in una nebbia. L'unica cosa che ricordo sono tutti i fiori che sono arrivati a casa nostra. Da Van Dijk, Robertson, Fabinho, Firmino, Thiago... e così via. Tutti i miei fratelli. Hanno tutti inviato fiori con le loro condoglianze. E non erano solo i miei compagni di squadra — Pep Guardiola e Carlo Ancelotti mi hanno persino inviato lettere di supporto. Mi ha davvero toccato il cuore. Ogni 10 minuti, c'era un bussare alla nostra porta e un corriere che arrivava con fiori."
I RICORDI DEL PADRE - Il portiere ripercorre tutti i suoi ricordi del padre, da quando era giovane e giocava con lui e il fratello maggiore in salotto. "Avevo 3 anni, giocavo con una pallina nel salotto insieme a Muriel, mio fratello di 5 anni più grande. Mio padre tornava stanco a casa dopo una lunga giornata a lavoro, se ne stava sul divano e noi volevamo che giocasse con noi. E lui prima ci diceva che era troppo stanco poi, dopo un secondo, si buttava a terra, spostava il divano e ci prendeva in braccio. "Tirate pure, oggi non mi segnate mai. Oggi sono Taffarel!", diceva. Noi fingevamo di essere Rivaldo, Bebeto, Ronaldo. Ho tantissimi ricordi del genere, sono così vividi, posso ancora sentirli, odorarli. Mi sembra ancora di sentire mia madre nell'altra stanza che cucina, sentire l'odore dei vestiti di mio padre, vedere le sue mani enormi da ex portiere come fosse ieri. I suoi amici mi dicevano che fosse un folle in porta. "Non aveva nessuna parola, si lanciava fuori dalla porta e andava incontro agli attaccanti pur di salvare un goal", mi dicevano.
KLOPP - "Non dimenticherò mai cosa mi disse Klopp e cosa fece per me. Mi chiamò e io mi sentivo davvero in colpa per il fatto di aver dovuto saltare degli allenamenti. Non eravamo quarti, avevamo estremo bisogno di punti. Ma Jurgen mi disse di prendermi tutto il tempo che mi serviva e mi raccontò che anche lui aveva perso il padre circa alla mia età. Capiva bene il mio dolore. Non era solo un allenatore per me, era un secondo padre. Me lo ricordo ancora quando, dopo un goal di Origi all'Everton, entrò in campo come un pazzo per venire ad abbracciarmi. Ogni tanto rivedo quella clip sul mio telefono e rido ogni volta. Ma ci sono tantissimi momenti che porto con me con lui, quelli che nessuno poteva vedere. Quando per esempio, dopo le vittorie, ci sedevamo nel retro del bus e festeggiavamo le vittorie con una birra insieme da veri tedeschi e brasiliani. Klopp mi diede tutto il tempo e non tutti gli allenatori l'avrebbero fatto, mi avrebbero capito come ha fatto lui. Tutti i giocatori si accordarono per pagarmi un volo privato per andare al funerale, così che io non dovessi occuparmi di organizzarmi o altro", ricorda il portiere che poi si era trovato davanti al bivio: andare al funerale da solo o restare con la moglie incinta.
LE LACRIME - "Senza i miei compagni e senza il club non ce l'avrei fatta a superare quel momento. Quando tornai ad allenarmi, qualche giorno dopo il funerale, ogni tanto mi capitava comunque di pensare a mio padre. Non riuscivo a non farlo. Mi comparivano dei flash di lui che stava a bordo campo a seguire le partite quando ero piccolo, ricordavo di quando andavamo a pescare. Rivivevo quelle scene e piangevo anche durante l'allenamento. Immagina di provare a bloccare una punizione di Alexander-Arnold mentre sul tuo viso e nei tuoi occhi c'erano delle lacrime".
IL GOAL E LA DEDICA - "Tre mesi dopo la morte di mio padre, nacque Rafael, il mio terzo figlio. Per me e mia moglie fu una sorta di rinascita. Sei giorni dopo la sua nascita, successe una cosa che ancora oggi faccio fatica a spiegarmi. Giocavamo contr il West Bromwich, partita cruciale, ci stavamo giocando la top 4, dovevamo vincere. Però era una di quelle giornate in cui nulla va nel verso giusto. Eravamo 1-1 e mancavano pochi minuti. Da portiere in situazioni così ti senti inutile, te ne stai nella tua area e aspetti. Ci fu un corner e il nostro allenatore dei portieri mi urlò di andare in area, non c'era niente da perdere. Arrivai in area ma non avrei mai pensato di poter segnare, ero lì giusto per creare un po' di caos. Poi vidi arrivarmi la palla sulla faccia, spostai la testa, caddi e mi sentii abbracciato da tutti. Tutti mi abbracciavano e piangevano, avevo segnato. C'era chi piangeva e rideva allo stesso momento. Non ho mai visto Salah così contento per un goal non suo! Giocavamo ancora negli stadi vuoti e l'unica cosa che sentii era stato l'amore dei miei compagni, gli stessi che mi avevano aiutato a superare il momento più difficile della mia vita. Mi ricordo che guardai in cielo. C'erano le classiche nuvole ma lì vidi una luce speciale. Urlai “Pai…. pai….. Questo è per te!". Negli spogliatoi poi mi chiesi se l'avesse visto, se mi stesse guardando. Da piccolo credevo poco, credevo in un Dio distante ma è in momenti come questi che realizzi che Dio è molto più vicino di quello che tu immagini".