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  • Il sogno segreto di Franco Battiato: poter essere come Facchetti e Scirea

    Il sogno segreto di Franco Battiato: poter essere come Facchetti e Scirea

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Nell’estate del 1973 ero appena stato assunto in quella grande scuola di giornalismo che era la “Gazzetta del popolo”, il quotidiano diretto da Giorgio Vecchiato. Uno dei capo redattori si chiamava Antonino Battiato, detto Nino, personaggio colto e raffinato come soltanto certi siciliani riescono ad essere. Una sera si presentò in redazione accompagnato da un giovane vestito in modo trasandato e con lo sguardo vagamente allucinato. “Si chiama Franco ed è mio nipote. Vuole fare il cantautore, ma i brani che scrive li capisce soltanto lui”. Impietosa la presentazione fatta dallo zio.

    Dopo la chiusura del giornale andammo a cena in una bocciofila sul Po che teneva aperto fino a tardi. Sulla terrazza c’era un pianoforte. La prima cosa che il giovane ospite fece fu quella di sedersi davanti alla tastiera e di mettersi a suonare accompagnandosi con una voce molto particolare. La canzone si intitolava “Fetus”. Parole ermetiche e fin criptiche per una musica che ricalcava i canoni dello psichedelico. Quell’anno nella “hit” italiana furoreggiavano “Il mio canto libero” di Battisti, “Questo piccolo grande amore” di Baglioni e “Minuetto” di Mia Martini. Il brano di Battiato era un pugno nello stomaco. Soltanto Gipo Farassino, seduto due tavoli più in là, applaudì. Lui aveva orecchio.

    Poi, tra un agnolotto e la carne cruda innaffiati da un buon barbera, parlammo di tutto un po’. E Franco si svelò confessando il suo sogno segreto ma ormai irraggiungibile. Aveva giocato nell’Akragas, la squadra di Agrigento, come difensore centrale. Aveva un modello di calciatore. Era Giacinto Facchetti, il campione che non andava mai addosso all’avversario perché riusciva sempre ad anticiparlo. Proprio come cercava di fare Battiato il quale disse di aver visto un altro giovane che, nell’Atalanta, giocava a quel modo. Si chiamava Gaetano Scirea e la stagione successiva sarebbe arrivato alla Juventus per scrivere la Storia del calcio universale.

    Battiato adorava il gioco del pallone esattamente come lo amava Pier Paolo Pasolini. Per entrambi rappresentava la sublimazione della libertà, della fantasia e del sacrificio. Un’autentica ideologia, insomma, se non addirittura una fede laica. Proprio come l’arte attraverso la quale sia Pasolini e sia Battiato usarono con genialità per comunicare i loro pensieri. Una linea retta che partiva dall’empireo della filosofia per arrivare al cuore della cultura popolare a vantaggio della gente semplice di tutti i giorni. Ecco perché dal momento dell’era ”del cinghiale bianco” in avanti le opere di Battiato vennero giudicate e interpretate perciò che erano. Capolavori unici e senza tempo.

    Oggi Franco Battiato non è più su questa Terra. Come sosteneva in una sua canzone un giorno tornerà, chissà sotto quale forma vivente, perché tutti tornano prima o poi. Nell’attesa sarebbe bello se, per rendergli omaggio e per consolare le nostre anime, riascoltassimo “Fleurs”  il suo ventunesimo album che rappresenta un assoluto e inarrivabile capolavoro dell’intera sua produzione. Uno dei brani, dolcissimo e delicato, si intitola “Era di maggio”. Il mese delle rose che Battiato ha scelto per andarsene. Buon viaggio Maestro e buon lavoro insieme con il coro degli angeli che ti aspetta per essere diretto date. Poi un giorno tornerai, magari nel corpo di un cinghiale bianco.

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