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  • Inter, i segreti di Moratti: 'Tentativi per Messi e Iniesta. Ibra e Pirlo vicini al ritorno, Cantona non se la sentì'

    Inter, i segreti di Moratti: 'Tentativi per Messi e Iniesta. Ibra e Pirlo vicini al ritorno, Cantona non se la sentì'

    Massimo Moratti, ex presidente dell'Inter, si racconta a corriere.it. Calcio, calciomercato e vita privata, l'ex nerazzurro parte dal suo debutto sugli spalti, stagione '48-'49: "Il mio debutto sugli spalti coincise con uno dei più emozionanti derby della storia. Vincemmo sei a cinque. Io avevo quattro anni. Era l’Inter dell’olandese Faas Wilkes e di quell’Istvàn Nyers nato e cresciuto tra Lorena, Ungheria, Serbia… E poi c’era Benito Lorenzi. Lo bersagliavano per le marcate idee politiche, aveva aderito alla Repubblica di Salò e si era arruolato volontario nella Decima Mas. In più dicevano che come calciatore fosse uno «sporco». Benito è stato un uomo di una generosità rara, buono come il pane. Un interista “dentro” come pochi. Sul finire di carriera, nel 1958, andò all’Alessandria. Una domenica si giocava Alessandria-Inter. Su un calcio d’angolo, anziché gettarsi sul pallone come abitudine, Lorenzi rimase fermo. Il pallone gli rimbalzò sulla testa e andò in rete. Lui corse disperato dall’arbitro per spiegare, mentendo, che il gol era da annullare poiché aveva toccato la palla con una mano...".

    SULLA MAMMA - "Era stata mamma Erminia, la mia straordinaria mamma, a portare l’Inter in casa. Era una tifosissima e aveva già seguito l’Ambrosiana. Mio padre era «lontano» dal pallone in generale. Una domenica, mentre erano insieme a Roma, mamma portò papà allo stadio. Roma-Inter. Mio padre fu totalmente rapito: la partecipazione dagli spalti si trasformò in una specie di rito d’iniziazione. Scoprì un mondo nuovo. Divenne una presenza fissa in tribuna".

    TRATTATIVE SALTATE DI PAPA' - "Papà aveva trattative avanzate con Puskas e il connazionale Kocsis. Con la rivoluzione ungherese, i due andarono a Vienna, divennero apolidi, e in Italia arrivarono enormi pressioni politiche per non complicare i rapporti diplomatici... Quella di John Charles è una vicenda diversa. Caso vuole, anche se fu per causa delle sigarette, che mio padre venne colpito da una mezza ischemia. Papà ricevette la telefonata dell’avvocato Agnelli il quale gli ricordò che per Charles la Juve avrebbe offerto sempre una lira in più, e papà non era nelle migliori condizioni per duellare...".

    SULLA SUA INTER - "Il mio primo “vero” acquisto da presidente si chiama Javier Zanetti. Zanetti non arrivò come seconda scelta insieme a Rambert. Mi avevano mandato delle videocassette del campionato argentino. Mi ero soffermato su Ortega ma avevo notato un giovane terzino destro. Lui, Zanetti. Mandai Suarez e altri collaboratori. Una notte mi chiamarono: “Noi procediamo, ma è sicuro?” . Risposi di attendere cinque minuti. Svegliai uno dei miei figli e gli dissi di mettere su al volo una videocassetta. Presi il telefono e ordinai di acquistare Zanetti".

    SUL SUO ACQUISTO MANCATO - "In un certo senso Iniesta. Ma fu subito chiusura totale. Non da parte del giocatore, a lui nemmeno arrivammo. Incontrai i vertici del Barcellona, avevamo forza economica e persuasiva... Parlai di parecchi giocatori. Ma quando pronunciai il nome di Iniesta, l’atteggiamento mutò radicalmente. Avrei potuto fare qualsiasi offerta e sarebbe stato inutile. Non lo avrebbero mai venduto. Messi? Iniziammo a “guardare” Messi ai mondiali under 18. Partimmo alla carica. Missione in Spagna. I miei tornarono e raccontarono delle difficoltà di salute e dell’impegno del Barcellona, della dedizione per risolvere quei problemi. Dissi di lasciar perdere. Giuro. Si stavano prendendo cura di Messi come un padre col figlio". 

    SU RONALDO - "Venne a trovarmi a Milano. Lo accompagnavano una giovane fidanzata e un disegnino, che esibiva tutto contento e che mi lasciò in regalo. Ronaldo giocava nel Psv ma stava firmando per il Barcellona. Era qui per strategia del procuratore... Ovvio che l’avrei preso su due piedi, ma la trattativa con il Barcellona era al passo finale. Sarebbe stata per la volta successiva, giurai. Un anno dopo, mi confidarono che con gli spagnoli s’era aperta una crepa. Diedi ordine di lavorare per prenderlo. A ogni costo. Io e Ronaldo, in quella fase, ci sentimmo spesso al telefono. Gli piaceva il corteggiamento ma, da buon brasiliano, diceva e non diceva… Quando divenne conclamata la spaccatura con il Barcellona, forzai i tempi. Prima della presentazione in piazza Duse, Ronaldo venne a pranzo a casa mia. C’erano mia moglie, i miei figli. Sembrava un ragazzino, rideva e si divertiva. Invece è dotato di uno straordinario spirito di osservazione, registra ed elabora tutto. Dopo quel pranzo, durante il quale aveva finto di guardare distrattamente questo e quello, mi diede in pochi minuti un quadro dettagliato del carattere di tutti i presenti".

    SU INCE E CANTONA - "Con Ince mi mossi in persona. Andai a casa sua. Ero appassionato di Manchester United. Con Cantona, le nostre vite si incrociarono nella giornata sbagliata. Quand’era in programma Manchester-Crystal Palace, la partita del calcio di Cantona al tifoso... Ero coi miei figli in tribuna… Ince lo seguivo già, e proprio in quell’incontro mi fece ulteriormente impazzire, per l’ardore con il quale si scagliò contro chiunque incontrasse… Ci vidi uno slancio, una generosità, un coraggio… Per carità, anche da parte di Ince ci fu un atteggiamento censurabile, con lui che menava le mani… massima condanna… ma io ci vedevo non la ricerca della violenza per far male quanto la voglia di difendere in ogni modo e a ogni costo lo stesso Cantona finito sotto assedio… Andai a casa di Ince per dirgli che doveva venire all’Inter. Accettò. Speravo che, finita la squalifica, avrebbe accettato anche Cantona. Ma era sfiduciato, senza energia, provato". 

    SU PIRLO - "Con Pirlo, quando dal Milan andò alla Juventus, ci fu più di uno spiraglio per un ritorno all’Inter. Ma non se ne fece nulla. Ibrahimovic, quando passò dal Barcellona al Milan, mi chiamò. Confessò l’inizio della trattativa e, con un gesto che ho molto apprezzato, mi disse che se avessi avanzato una controfferta, avrebbe scelto noi. Una controfferta pure al ribasso, si premurò di sottolineare. Ma, come ho detto, le strade erano tracciate e non aveva senso forzare gli eventi". 

    SU SNEIJDER - "Ecco, Sneijder. Sempre a Forte dei Marmi, mi fermò un barista: “Presidente, ci manca un unico giocatore. Quello che darà le accelerate decisive in mezzo al campo. Sneijder”. Parlò con tale forza persuasiva che io, per non commettere errori, chiamai Branca chiedendogli di sentire Mourinho. Branca richiamò e disse che Mou aveva esclamato: “Magari”. Partimmo con la trattativa, che si sbloccò anche perché al Real, Sneijder non trovava spazio. Quel barman non l’ho più rivisto. Lo volevo ringraziare... A pensarci bene... i bar... Con Figo ci incontrammo vicino al mare. Trovammo subito l’intesa economica. Ci stringemmo la mano ed ero pronto a congedarlo, senonché Luis, per il pieno rispetto della forma, si disse disposto a recarsi dove serviva per le firme ufficiali. Era estate piena, non c’era nessuno nell’immediatezza disponibile, sicché dissi a Figo che l’accordo era stato raggiunto, eravamo due galantuomini e non ci sarebbero state brutte sorprese…Niente, insisteva... Presi un tovagliolo, uno di quelli colorati, e lo invitai a scriverci sopra… “Io sottoscritto mi impegno a… durata del contratto... ingaggio... firma... eccetera eccetera".

    SU MOURINHO - "La prima volta Mou arrivò sotto casa mia in incognito, pareva un film di spionaggio... Camminava radente i muri... Quando aprì la porta, finalmente convinto d’aver superato ogni rischio e di essere al sicuro, la colf si mise a urlare: ”Joséééééééééé!!!! Joséééééééééé!!!! Joséééééééééé!!!!”. Credo che l’eco risuonò per metà Parigi... Quella donna era portoghese, e mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti uno dei beniamini nazionali..."

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