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  • L'affabulazione squinternata di Mourinho è il miglior spot per gli arbitri. Ma su Var e rigori non ci siamo

    L'affabulazione squinternata di Mourinho è il miglior spot per gli arbitri. Ma su Var e rigori non ci siamo

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    Uno spot migliore per  gli arbitri era difficile da immaginare. Ci ha pensato Mourinho, con un’affabulazione squinternata e contraddittoria che dice tutto e il contrario di tutto. Dalla solita geopolitica “cattiva” nei confronti alla Roma, ma “buona” con Inter, Juventus e Milan, al Var assassino del calcio popolare (“ormai è un altro sport”) perché “il fallo di Abraham non c’era”, all’ espulsione di Zaniolo. Sì, quei tre “Che c….hai fischiato?”, sbattuti in faccia all’arbitro, sarebbero la domanda lecita d’un giovane calciatore al direttore di gara. Non sta in piedi nemmeno il paragone VAR con quanto avvenuto a San Siro: la spalla di Giroud su Sanchez non è paragonabile al pestone di Abraham. Sono, dunque, accuse strampalate, un tanto al chilo, che ottengono l’effetto contrario: considerare, tutto sommato, benevolmente l’operato arbitrale della domenica.

    Fossero vere le recriminazioni di Mourinho, lui all’Inter avrebbe vinto per peso politico. Solo un mesetto fa, invece, il Var agiva bene eccome, però, la Roma in quel caso aveva vinto. In quanto a Zaniolo, il ragazzo è nervoso: i toni e i modi delle sue proteste sono chiaramente offensivi. Se non ricordiamo male, a Morata fu comminato un turno di squalifica per aver utilizzato il ben più decoroso “imbarazzante” riferito a un rigore concesso dall’ arbitro Pasqua. Chissà, adesso, che peso avranno tre c…di fila? Ma non è del fumantino allenatore portoghese, che vale la pena di parlare ancora, quanto del VAR e del cambiamento arbitrale in corso, questo sì generalizzato, tanto da segnalare una svolta nella stagione.

    Sul VAR, ci sarebbe da ricordare il suo principio di fondo: riparare gli errori arbitrali. La dizione “chiaro ed evidente errore” ha aggiunto confusione, per la valutazione degli aggettivi, ma il sostantivo resta: quando l’errore c’è, nelle “fattispecie” contemplate, il VAR chiama. E, nella stragrande maggioranza dei casi, è stato un bene, al di là dei cavilli degli allenatori, dei dirigenti e dei presidenti di volta in volta infuriati o euforici a seconda del risultato. Certo, 3/4 minuti per definire una situazione già lampante forse sono troppi da parte della squadra arbitrale. La svolta arbitrale, però, non riguarda il VAR, bensì un rovesciamento di almeno 180° nella considerazione dei falli e dei rigori.

    E’ bastata l’esternazione del designatore arbitrale Rocchi sui troppi rigori concessi, per invertire la rotta: ora “penalty” lampanti diventano rigorini e passano in cavalleria.
    Ma, se proprio si deve abbassare la soglia delle massime punizioni (“perché in Inghilterra ne fischiano molte meno”), non sarebbe il caso di rivedere la regola secondo cui se, nella propria area, si tocca la palla con un mignolo un po’ troppo lontano dal corpo o si allarga il braccio per non sbattere la faccia a terra è sempre un “inequivocabile” rigore? Per emulare la sportiva Albione ecco il secondo cambiamento: finché si può, lasciar menare a piacimento. Ma siccome non è facile distribuire equamente le botte, si pratica un sistema infallibile: nel primo tempo, si fischia poco o niente, nel secondo si parte coi cartellini gialli. Qualcuno dice che così facendo (rigori in cavalleria e randellate libere) lo spettacolo ci guadagna.

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