L'ennesimo colpo di genio di Mourinho: il tribuno ribelle, più romanista dei romanisti
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Giancarlo Padovan
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Pensa Mourinho: siccome spesso mi vogliono incastrare (lite con il quarto uomo Serra), io incastro loro. Loro sarebbero gli arbitri, il vero e unico avversario contro il quale l’allenatore portoghese può giocare la sua partita dialettica e teatrale. Sa di avere una squadra meno forte delle concorrenti, sa che la Roma ha poco peso politico, sa che la sfortuna non esiste però più di metà dei suoi titolari sono infortunati, sa che non andrà in Champions League perché l’organico è ridotto e modesto, sa che per tutto questo abbandonerà la Roma, lasciando milioni di cuori infranti.
Perciò tra una trovata e una provocazione si prepara il terreno. Il Mourinho che va in campo con il microfono non piace solo ai romanisti, piace da morire anche ai tifosi delle altre squadre. Perché si ribella al potere costituito e al sopruso, perché combatte con tutti i mezzi a disposizione, perché non si arrende neppure al risultato, spesso, per lui, falsato o adulterato. Roma e la Roma sono il posto ideale per generare sospetti e complotti, Mourinho lo sapeva ed è diventato più romanista dei romanisti. Adesso e fino alla fine della stagione, quando tutti lo rimpiangeranno (anche se quest’anno magari non vincerà nulla), Mourinho smette di fare l’allenatore. E’ diventato tribuno, agit-prop, guru. Lo amano per questo. Cambiare, oltre che impossibile, non sarebbe nemmeno vantaggioso.
