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  • L'ultimo canestro di Dennis Rodman per spegnere i missili di Kim Jong-un

    L'ultimo canestro di Dennis Rodman per spegnere i missili di Kim Jong-un

    • Marco Bernardini
    Non è la prima volta e non sarà neppure l'ultima che lo sport veste i panni di ambasciatore per tentare di fare da mediatore tra due situazioni apparentemente inconciliabili. In questa chiave, seppure senza il crisma dell'ufficialità, mi piace interpretare la 'missione' in atto di Dennis Rodman, l'ex campione di basket americano di San Antonio e Chicago conosciuto in tutto il mondo per la sua classe e anche per la sua follia. 

    Insieme con gli uomini del suo staff, uno tra i neri più amati d'America è atterrato l'altra notte a Pyonyang la capitale di quella Corea del Nord, che rappresenta l'ultimo muro esistente a dividere il concetto di democrazia da quello di dittatura. Un Paese il quale, pur essendo piccolo, ha il potere di infondere ansia e talvolta angoscia al resto del mondo per via del lancio più o meno costante di missili voluto dal suo padre-padrone Kim Jong-un. 

    Dennis Rodman è americano.
    Quattro suoi connazionali attualmente si trovano nelle carceri di quel Paese accusati di reati assortiti, in attesa di processo e con possibilità davvero esigue di venir assolti e rispediti a casa. Anche se la visita dell'ex campione, per sua stessa ammissione, ufficialmente non sarebbe finalizzata a scopi diplomatici, in realtà la presenza di un personaggio tanto in vista e popolare nel Paese più antiamericano del mondo non è casuale. 

    Da tempo i governi dei grandi Paesi si stanno adoperando per fare in modo che il giovane e cocciuto dittatore nordcoreano accetti finalmente di allinearsi con le regole internazionali e la smetta di provocare il resto del mondo con le sue minacce di guerra planetaria. Lo stesso Donald Trump, se da un lato annuncia di essere pronto a spazzare via dalla faccia della terra Kim e tutti i suoi armamenti, dall'altro ammicca e fa l'occhiolino al nemico, definendolo addirittura persona simpatica. La Cina, da parte sua, invia messaggi più o meno quotidiani di invito alla normalizzazione. La stessa Corea del Sud, fumo negli occhi per Kim, fa sapere di essere disposta a organizzare insieme con i terribili vicini di casa i Mondiali di calcio del 2030.

    La missione di Dennis il Pazzo ricorda molto da vicino ciò che accadde nel 1971, quando per intervento del destino intorno a un tavolo di ping pong si trovarono di fronte un atleta americano e uno cinese. Gli Stati Uniti erano quelli del presidente Nixon e della sporca guerra in Vietnam. La Cina era quella del presidente Mao Tze Tung e della rivoluzione culturale. Nessun americano poteva anche soltanto pensare di entrare in Cina e la tensione tra i due Stati era pressoché costante. Ebbene, un anno dopo quel famoso incontro sportivo, si realizzò l'impensabile, con Nixon e Mao fotografati insieme nell'atto di stringersi la mano. Il mondo, da allora, non sarebbe stato più lo stesso. 

    Probabilmente nelle intenzioni di Donald Trump esiste il medesimo progetto. Impossibile che Dennis Rodman sia andato in Corea del Nord senza la benedizione del presidente come un contemporaneo Forrest Gump. Improbabile che incontrando Kim l’ex campione dei Chicago non parli dei detenuti americani. Possibile e auspicabile invece che si realizzi ciò per il quale il viaggio è stato organizzato seppure fuori dai binari della diplomazia ufficiale. Esemplare i significativa infatti la dichiarazione dello stesso Dennis prima della sua partenza: "E' possibile che torni con una bella sorpresa". 

    Si tratterebbe dell'ultima di una delle tante vittorie dello sport sulla sragione. Quando il gioco e il sano agonismo hanno la meglio sul becero antagonismo e riescono a fare da collante per la pace universale o almeno per la intelligente collaborazione tra i popoli. L'altra faccia dello sport compiacente o alfiere di propaganda per i regimi. I Mondiali in Argentina pro Vileda. Le Olimpiadi in Messico sopra i cadaveri di migliaia di studenti e operai. La Davis di tennis nel Cile di Pinochet. Proprio come i famosi Giochi di Berlino che, fortunatamente, si rilevarono un boomerang per la propaganda nazista perché il 'negro' Jesse Owens provocò un attacco di ulcera più forte del solito a Hitler. 
     

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