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  • De Zerbi, altro che integralista: il suo Sassuolo è uno spettacolo, ma non chiamatelo 'nuova Atalanta'

    De Zerbi, altro che integralista: il suo Sassuolo è uno spettacolo, ma non chiamatelo 'nuova Atalanta'

    • Alberto Polverosi
      Alberto Polverosi

    Il Sassuolo non è una rivelazione. Forse lo è il secondo posto del Sassuolo, ma non il suo gioco, non il suo livello, non la sua qualità. E’ una squadra bellissima che riconosce se stessa ormai da anni, che stagione dopo stagione lascia andare dei pezzi (a prezzo alto...) e ne innesta altri dello stesso livello o perfino superiori. E’ una squadra che vince al San Paolo senza tre dei suoi migliori quattro giocatori, senza Djuricic, Berardi e Caputo (il quarto è Locatelli).

    De Zerbi è al terzo campionato col Sassuolo. E’ arrivato 8° nella stagione scorsa, 11° nel 2018-19. L’inizio della crescita di questa squadra risale però a una dozzina di anni fa e vi hanno contribuito allenatori che poi hanno mostrato il loro valore anche in altre piazze, da Allegri a Pioli, fino a Di Francesco, il primo a tracciare in Serie A la via del gioco. De Zerbi ha sintetizzato l’idea del Sassuolo indirizzandolo su una strada che ora suscita invidia. Per anni è stato considerato un integralista, fedele a un unico credo, ma in questa stagione se il Sassuolo ha raggiunto la cima della sua maturazione lo stesso si può dire del suo allenatore.


    SCEGLIAMO COME PERDERE - C’è una frase, accompagnata da una lucida spiegazione tecnica e tattica, che fissa un concetto-base dell’idea di calcio di Roberto De Zerbi. Dopo Napoli-Sassuolo 0-2 ha detto: «Non so se giocare così è sufficiente per vincere, ma almeno possiamo scegliere come perdere». E’ la premessa che illustra il cambiamento, la fine dell’idea che il calcio italiano alimentava sul conto di De Zerbi. Al San Paolo, il Sassuolo ha schierato la difesa a tre. «Ho abbassato un po’ la pressione perché rispetto i miei giocatori. Quando hai Osimhen davanti, gli dai 50 metri di spazio dietro e non ti abbassi, vuol dire che non hai rispetto di Ferrari e di Chriches. Tenendoli alti li avrei esposti troppo e non tutti i giocatori sono uguali. In ogni caso dobbiamo essere capaci di giocare a tre o a due». E’ la sintesi che noi, da fuori, possiamo definire di cambiamento, ma che probabilmente ha sempre accompagnato De Zerbi. Solo che doveva aspettare il momento buono per mostrare il suo bagaglio al completo.

    L’INTEGRALISTA CHE NON C’ERA - Vedendo il calcio dalla tribuna, ci affidiamo troppo spesso a luoghi comuni. Per esempio, Sarri: gioca sempre alla stessa maniera, non cambia mai, non si fa mai contagiare (nel senso calcistico). E invece Sarri cambia, eccome. A Empoli prima di arrivare al rombo, al 4-3-1-2, faceva giocare la squadra col 4-2-3-1. A Napoli, prima di arrivare al 4-3-3, lo schierava col 4-3-1-2. Eppure per tanti (se non per tutti) era il cieco fedele di un modulo. E’ a noi, agli osservatori esterni e alla gente comune fissarli in un’etichetta. Così è più semplice, ma è un’operazione sbagliata, una sintesi troppo riduttiva di un pensiero più ampio.

    LO SPETTACOLO - Il Sassuolo fa spettacolo, come lo faceva l’Empoli di Sarri. Giocare bene, come dice Bielsa, è quando la gente si diverte e oggi se vedi quelle maglie neroverdi ti diverti, eccome. E’ profondamente diverso dall’Atalanta, altra squadra-spettacolo di questi anni. La base dell’Atalanta è dinamica con innesti tecnici, la base del Sassuolo è tecnica con innesti dinamici. In definitiva è un piacere che nel calcio italiano esista una squadra come quella di De Zerbi.
     


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