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Lukaku e Kessie, benvenuti in Italia: il Paese dove il razzismo c'è ma non esiste

Lukaku e Kessie, benvenuti in Italia: il Paese dove il razzismo c'è ma non esiste

  • Fernando Pernambuco
    Fernando Pernambuco
Cangiante e mutevole il razzismo segue i tempi. E, d’altra parte, le cose cambiano, si trasformano. Diciamo sommariamente che prima dei fenomeno migratori, i razzisti di casa nostra si contavano sulle dita. Anzi, la maggior parte degli italiani si commuoveva per le battaglie di Martin Luther King, per l’apartheid, per i neri che in Alabama potevano prendere solo il proprio autobus. Insomma, detestavamo le discriminazioni. Poi le cose, appunto, sono cambiate e la xenofobia ha contribuito alla diffidenza, all’insofferenza e anche alla paura verso “il negro”.

Certo, gli italiani non sono stati esenti dall’intolleranza e dal disprezzo nemmeno verso i propri compatrioti: vedi l’annosa vicenda dei “terroni” al nord, riproposta poi anche grazie ad un partito che la cavalcava fino a poco tempo fa, rimpiazzandola, oggi, con l’odio verso il migrante di pelle scura. Se te la pigli con uno che parla la tua stessa lingua, che ha condiviso con te guerre e disastri, che pratica la tua stessa religione e ha , addirittura, il colore della pelle uguale al tuo, te lo immagini cosa può accadere di fronte a “un africano negro”? Anche il calcio, sport popolare, in cui il tifo passionale spesso trascende i limiti della decenza civile, non poteva certo essere esente da forme di razzismo. Manifestazioni molto riconoscibili, non solo per le offese esplicite verso chi ha l’indelebile colpa di avere la pelle scura, ma anche per i ripetuti, arcinoti “buu” ogni volta che un giocatore di colore tocca la palla. E’ un fenomeno che, da noi, dura già da parecchi anni.

Nuovo, invece, è il razzismo inconsapevole oppure il razzismo praticato, ma subito negato. Lukaku a Cagliari si becca dei “buu” razzisti e i tifosi dell’Inter accorrono in difesa dei loro colleghi sardi, con un incredibile comunicato in cui si spiega che i “buu” sono tesi a destabilizzare il sistema nervoso dei calciatori di colore e che, quindi, Lukaku può stare tranquillo. Per altro, sempre a Cagliari, l’anno scorso Matuidi, insultato a più riprese, voleva smettere di giocare; Koulibaly, pesantemente offeso durante un'altra gara, anche. A Cagliari, il Presidente dei rossoblù rispose, l’anno scorso, che non si era sentito nulla: al massimo due o tre persone “disturbate”. Dovevano essere tenori, visto che anche in TV le offese si distinguevano chiaramente. Stessa cosa, adesso, a Verona, dove i dirigenti della società gialloblù non hanno sentito nulla di “particolarmente strano” nei confronti di Kessie

Insomma, nei nostri stadi, il razzismo non esiste, è un’invenzione dei giornalisti, degli ipocriti benpensanti o di quei “complessati” dei giocatori di colore che se lo immaginano, ne sono ossessionati e poi, da poveri visionari, se ne lamentano. Altro che “facciamo qualcosa”, altro che condanne rituali dalle massime istituzioni, altro che “interrompiamo le partite”. E perché mai? In fondo cosa è successo? Non facciamola lunga, per carità: è stato forse ucciso qualcuno? Per essere definiti razzisti, d’ora in poi bisogna incappucciarsi, bruciare qualche crocefisso e provare a impiccarlo qualche “negro”. Nel caso che l’impiccagione non vada a buon fine, trattasi di semplice sfottò.


BUU A LUKAKU E KESSIE: NESSUNA SANZIONE PER CAGLIARI E VERONA 

 

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