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  • Meglio la 'visione collettiva' dell'Ajax o il talento del Real Madrid?

    Meglio la 'visione collettiva' dell'Ajax o il talento del Real Madrid?

    • Alberto Polverosi
      Alberto Polverosi
    Meglio l’ajaxismo o il madridismo? Visto il risultato, meglio il Madrid. Visto il gioco, meglio l’Ajax. E’ l’eterna sfida fra i belli e i forti. Gli unici a coniugare, al massimo livello, risultati e gioco sono stati Sacchi col Milan e Guardiola col Barcellona. E se quei due maestri non sono riusciti nella stessa impresa quando hanno lasciato le rispettive squadre, significa che più che modelli, erano due visionari. Ajax-Real Madrid è stata una partita fantastica, una delle più belle di questi ultimi anni di Champions. E’ stata l’esemplificazione ideale di due pensieri diversi, quasi opposti, di questo gioco: il grande calcio dei calciatori (Ajax, ovviamente) contro il calcio dei grandi calciatori (Real). Ha vinto quest’ultimo, in virtù, appunto, della presenza in campo di fenomeni come Sergio Ramos, Modric e Benzema, il peggiore in campo fino al momento del gol, ma quando gli è arrivata la palla buona (la seconda in tutta la gara), non l’ha sbagliata. 

    L’Ajax ha riempito il campo col gioco e gli occhi degli spettatori con lo spettacolo. E’ vero che il suo show è durato un tempo, ma in quei 45 minuti non c’è stato un appassionato di calcio, uno solo, che non abbia sperato di veder vincere gli olandesi. E’ il calcio che esalta il collettivo e l’universalità dei giocatori. Mazraoui e Tagliafico sono due terzini che in realtà hanno fatto le ali, van de Beek è un regista che ha giocato pure da trequartista, De Ligt è il difensore centrale che ha fatto il regista. Era un insieme, un collettivo appunto. Ognuno metteva il suo talento a disposizione della squadra e non di se stesso. Ecco il punto, il talento. E’ ciò che stabilisce la differenza. Anche il Parma di Sacchi giocava benissimo, ma non avrebbe mai potuto vincere in Serie A. Il Milan vinceva perché dentro a un gioco corale, che poteva comprendere anche giocatori di minor qualità come Colombo, aveva Baresi, Maldini, Donadoni, Gullit, Rijkaard e Van Basten, vale a dire dei fenomeni. Guardiola faceva altrettanto perché quando le avversarie andavano al Camp Nou e alzavano due barricate, c’era sempre la fiamma ossidrica di Messi a bucarle, su invito di Xavi e Iniesta. Non è un caso se col Bayern e col City, pur dispondendo di giocatori strepitosi, Pep non è riuscito a riempire la bacheca come ai tempi del Barcellona. Lewandowski e Aguero sono fortissimi, ma nessuno dei due è Messi. Se Ten Hag, il tecnico dell’Ajax, avesse avuto in campo anche due soli di tutti i fuoriclasse che abbiamo citato, probabilmente avrebbe battuto il Real. 

    In Italia siamo andati avanti per anni a discutere sul calcio di Sarri e di Allegri, la bellezza contro la concretezza, l’applauso contro l’almanacco. Ha sempre vinto Allegri perché aveva i giocatori più forti e sapeva come utilizzarli. La Juve, tranne rari casi, non ha mai incantato, ma il Napoli, che pure incantava, non l’ha mai superata. E’ la fusione del talento individuale con la visione del gioco a determinare la grandezza assoluta, a creare il Milan sacchiano e il Barça guardiolano. Nel frattempo il dibattito andrà avanti. All’infinito. E questa è la grandezza del calcio.
       

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