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  • Meno bella, più spietata.| La Juve supera se stessa

    Meno bella, più spietata.| La Juve supera se stessa

    Conviene dare i numeri, con questa Juve, perché l’estetica potrebbe anche ingannare: in campionato è imbattuta da 45 partite (nella sola era Conte) e finora ha fatto anche meglio dell’avvio di un anno fa. Diciannove punti contro 13, 17 gol fatti contro 11, è il raffronto tra le telemetrie delle prime sette giornate di serie A. I bianconeri vincono anche a Siena, con un gran colpo di Marchisio a cinque minuti dal gong, nonostante qualche sbandata che li aveva fatti andare all’intervallo sull’1-1. Magari aveva ragione il poeta Alexander Pope: «La bellezza colpisce l’occhio, ma il merito conquista il cuore». E i risultati. Forse questa Juve è meno da sfilata della collezione 2011/12, quando s’invocarono, senza tanto esagerare, paragoni con il sommo Barcellona: al momento sarebbero temerari, perché la circolazione di palla in mezzo al campo è assai meno fluida e ossessiva, e pure la velocità è decisamente ridotta. Sembra però molto più pragmatica, o comunque così appare, nonostante Massimo Carrera proprio su questo abbia da dire: «L’anno scorso una partita così sarebbe finita molto prima». Le cifre vanno in senso opposto.


     

    Piuttosto, di simile, resta l’alto fatturato della cooperativa del gol, se già dieci bianconeri (undici, contando la Champions) sono andati a bersaglio. Così come non c’è il grande imprenditore d’area, per dire, il Cavani della situazione, ma questo si sapeva. Condanna e virtù. Perché, in compenso, arrivano sempre i nostri, come fosse un film western: centrocampo e difesa hanno segnato più della metà delle reti. Gli attaccanti, otto su 17. Anche qui a Siena, i salvatori sono spuntati dalla frontiera della terra di mezzo: punizione di Pirlo, che poi ci aggiungerà una splendida traversa, e, appunto, arrembaggio vincente di Marchisio. Della cavalleria è mancato solo Vidal, e non è la prima volta, parso umanamente spompato.

     

    Il sospetto è che pesino le tante partite filate, cioè la Champions che un anno fa mancava, e l’abitudine a gestirla o a tararne il turnover: ieri Antonio Conte, pardon, Carrera, ne ha cambiati tre rispetto allo Shakhtar, ma senza cavarne grandi benefici. Il guaio è che De Ceglie rimane un po’ imballato, Isla è ancora intorpidito dall’operazione al ginocchio e Pepe rotto: così la rosa è meno chilometrica del previsto. Dunque, capita che le partite si vincano quasi sempre con lo stesso assetto: ieri, anche ripescando Asamoah, partito a sedere. Come a Genova. Se il centrocampo in ogni caso macina, davanti, a lungo, c’è stato il deserto dei tartari. Vucinic ha fatto due giocate e poi s’è dedicato ai monumenti, Giovinco s’è attivato solo nella ripresa.

     

    Il mix è comunque bastato, forse perché l’Europa non è l’Italia, e viceversa: il pari con lo Shakhtar è troppo recente per essere trascurato. Così, contro il Siena è stato sufficiente mantenere velocità costante, perché prima o poi, al di qua del confine, finiscono la benzina. Anche se il nemico, in avvio, pareva averne: dopo un paio di minuti, Rosina ha sbagliato clamorosamente mira da buona posizione, e nella ripresa si sarebbe mangiato anche di peggio. Il cuore granata non gli batteva più. E’ invece tornato a battere il tempo Pirlo, che Cosmi ha rinunciato a pedinare: non una grande idea. Al regista sono bastate due punizioni per far paura. Pure lui è uno che inganna, e non per la barba: tre gol in sette partite, tutte punizioni vincenti, un patrimonio che la scorsa stagione racimolò in 32 giornate. Pareggerà il conto Calaiò, dopo che Angelo è scappato a De Ceglie e i centrali della Juve erano piazzati maluccio. Nel frattempo Mazzoleni, nel pieno di una direzione confusa e confusionaria, aveva cacciato Cosmi, per proteste, e non fatto lo stesso con Chiellini, evitandogli il secondo giallo. Che ci poteva stare. Nella ripresa, a parte l’occasione di Rosina e un tentato harakiri di Chiellini, comanda la Juve, anche se Giovinco e Vidal vanno solo nei pressi del gol. «La squadra non ha cercato di forzare le giocate - dirà alla fine Carrera - perché abbiamo avuto pazienza. Vuol dire che siamo maturi». A ottobre, non è poco.


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