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  • 'Devi morire', 'Aspetta che me lo segno': insulti social, Pirlo jr risponda alla Troisi

    'Devi morire', 'Aspetta che me lo segno': insulti social, Pirlo jr risponda alla Troisi

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    Non sappiamo che posto occuperebbero gli insulti e le minacce di morte al figlio di Pirlo, nella sagra universale dell’ infamia, che non chiude mai i battenti. Ormai, da tempo, i social sono anche questo. Accanto alla possibilità di esprimersi, di condividere, d’informare di discutere ecc. rappresentano quella palestra impunita in cui potere dare sfogo al peggio di sé. Ce ne siamo accorti da tempo, dalla “immonda giudea” affibbiato a Rita Levi Montalcini, alla “cagna in calore” indirizzato a Laura Boldrini, solo per fare alcuni esempi. Avviene sui social ma non solo, a dire la verità. Pensate che pochi mesi fa uno stimatissimo professore di storia, un intellettuale “progressista” autore di libri sulla globalizzazione, sui poveri e la carità, su Auschwitz, in una radio fiorentina non sapendo che giudizio politico dare della Meloni, l’ha definita “scrofa”. Lì s’è addirittura aperto il dibattito con i soliti appelli alla libertà d’espressione e al politically correct.

    Questo non per giustificare un manipolo di “tifosi” frustrati, ma per dire che ormai è in atto una completa tracimazione dal calcio alla cosiddetta società civile. Sì, perché nel calcio, quasi quasi al vituperio declamato ci siamo abituati. Il tasso di violenza verbale negli stadi non ha forse sempre trovato il proprio parametro rivelatorio (chiamiamolo così) nel “devi morire”, gridato da migliaia di bocche all’ indirizzo del calciatore avversario, tranquillamente percepibile in diretta anche dai nostri comodi divani? Abbastanza semplice censurare e sanzionare la scritta razzista in curva con relativa responsabilità diretta; più difficile per non dire impossibile, identificare uno per uno gli urlatori di offese e ingiurie irripetibili eppure costantemente ripetute. Ma come? Non ci sono (non c’erano) forse anche delle signore, dei bambini sugli spalti? Sì ma chissenefrega, è il leitmotiv condiviso da tutti o quasi, perfino dai più pii: se qualcuno sceglie di andare lì, in quella fossa dei leoni, non potrà mica scandalizzarsi per qualche “vaffa” o “morto ammazzato”. La fossa dei leoni, ora, è digitale. Tanto più che il “vaffa” è diventato un fortunato (adesso un po’ in ribasso, per la verità) slogan politico dei nostri tempi.

    Da tempo i social sono diventati anche Bar Sport, anche Curve Sud o Nord dove l’invito a spedire giocatori e allenatori all’ altro mondo insieme a famiglie e parenti, con particolare riguardo alla moralità della mamma, è di prammatica. Anche in questo, e non da ora, il calcio appare diverso dal Rugby, dal Baseball o dalla Pallacanestro. Non ci piace, ma non ne siamo stupiti. In questi casi si potrebbe rispondere come Troisi. Quando gli dicono “Ricordati che devi morire” lui ribatte “Sì, aspetta che me lo segno”.

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