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  • Moggi ospite a CM: 'Sono un sopravvissuto di Calciopoli, agente per 'colpa' di Cannavaro

    Moggi ospite a CM: 'Sono un sopravvissuto di Calciopoli, agente per 'colpa' di Cannavaro

    • Francesco Guerrieri e Andrea Distaso
    Sono le 18 in punto quando nella redazione di Calciomercato.com suona il citofono: “Sono Alessandro Moggi”. Il procuratore proprietario della Gea è arrivato insieme al capo marketing Giuseppe Cento. Sorrisi e strette di mano, poi si parte. Moggi aziona la macchina del tempo: "Ricordo tante sessioni di mercato vissute vicino a mio padre - racconta nella nostra intervista - In particolare una a Milano, durante la quale mi fecero la prima intervista. Avrò avuto circa 15 anni". Vecchi ricordi del piccolo Alessandro e di un mercato che oggi non c'è più: "Adesso si spoilera praticamente tutto già prima delle firme, a quei tempi la cosa più importante era non dire nulla finché un giocatore non metteva nero su bianco". E via col primo aneddoto: "Stagione 1987/88, mio padre era dg del Napoli e ricordo che una sera aveva dato appuntamento a tutti i giornalisti dopo cena per un caffè. Noi però andammo a Madrid per prendere Alemao".

    Quant'è cambiato il mercato in questi anni?
    "Molto. Prima c'erano soldi in tutte le categorie: ricordo contratti in Serie B da 600 milioni di lire netti che poi si sono tramutati in 600mila euro. Poi, dopo i primi anni Duemila, è tutto crollato. Oggi la C non rappresenta più un punto di riferimento per giocatori in crescita, adesso è complicato vedere un esempio come quello di Torricelli. In Italia si sta andando verso un vicolo cieco, bisogna ristrutturare i settori giovanili e si deve ragionare su qualcosa per generare nuove fonti di reddito".

    Come in Premier League?
    "Lì i diritti televisivi sono 5 miliardi di sterline, in Serie A discutiamo un emendamento parlando di 900 milioni scarsi. C'è un divario clamoroso, e la colpa è dell'appeal che il nostro campionato ha nei confronti del calcio mondiale. Come dice Galliani, ci fu un tempo in cui il Milan fece tre finali di Champions conscutive e le tre successive le fece la Juventus. Nel 2003 tre semifinaliste su quattro erano italiane e nel 2007 il Milan diventò Campione d'Europa. Mi ha colpito un dato della Supercoppa".

    Prego.
    "A Riyad, quel giorno, c'erano 50mila spettatori su 70mila a vedere Milan-Inter. Il giorno dopo lo stadio era sold out per vedere Messi contro Ronaldo. Nel 2006 le tre big italiane fatturavano come i principali top club europei; oggi solo la Juventus si avvicina, ma è comunque lontanissima fatturando circa 500 milioni con i ricavi della Champions League. E questo è un dato allarmante".

    A proposito di plusvalenze, che ne pensa?
    "Ci sono sempre state. Le plusvalenze da mercato reggono in piedi il sistema. Ricordo ancora quando mio padre comprò Zidane a 6 miliardi e lo rivendette a 150. Oggi il termine plusvalenza si presta a interpretazioni, ma è la fonte di reddito di tutti i club".

    Si dice sempre che in Italia bisogna ripartire dai settori giovanili, il Governo e la Figc si stanno muovendo per dare una mano ai club?
    "Sì, tant'è vero che il Decreto Crescita è stato modificato per cercare in qualche modo di venire incontro anche ai giocatori italiani. E' giusto che arrivino stranieri, ma quelli forti. Non chiunque. A parità d'ingaggio, oggi, si preferice lo straniero perché ha circa il 20% in meno di tassazione e l'italiano costa il doppio. Però la qualità della Serie A si alza portando gli stranieri di livello. Ma io ragionerei più sui settori giovanili".

    Ci dica.
    "Se in Serie A arriva lo straniero va bene, però i club devono avere la possibilità di produrre i giovani in casa. Il focus dovrebbe essere quello. Io, per esempio, sono contrario sul ragazzo che va all'estero: la crescita va fatta in Italia. Poi un giocatore può decidere di andare via dalla Serie A quando si sente già formato. Ma alcuni calciatori sono partiti troppo giovani e hanno pagato il prezzo".

    Qual è l’insegnamento più importante che le ha dato suo padre da uomo di calcio?
    "Quello che mi porto dietro ancora oggi e mi garantisce una presenza importante sul mercato: la credibilità, e il mantenere sempre la parola data. Posso dire di essere un procuratore affidabile. Quest'anno è il 30° che vivo il calcio in modo diretto, prima ancora l'ho fatto in maniera indiretta: ci sono state trattative chiuse con una stretta di mano, oggi invece finché non c'è la firma un affare non si può considerare chiuso".

    Che ricordi ha del 2006 e di Calciopoli?
    "Mi ritengo un sopravvissuto. Quello che è successo avrebbe spazzato via chiunque, è stato violentissimo. Essere qui oggi, essere il vicepresidente vicario dell'Associazione Agenti oltre che uno dei maggiori procuratori, è stato possibile grazie ai valori che mi sono stati trasmessi nel tempo. Oltre a quello del lavoro: 365 giorni all'anno, 24 ore su 24. Credo che il coraggio - e ce ne vuole - e la passione, uniti a queste cose, portino ad avere successo".

    Ora sta insegnando il mestiere a suo figlio. 
    "Osserva il lavoro, si sta appassionando. Da sempre voleva stare nel mondo del calcio, così come lo volevo io".

    E' vero che all'inizio lei voleva fare il calciatore?
    "Sì, ero il vice di Cannavaro nella Beretti del Napoli; terzino destro. una volta un mio amico mi disse di fare calcio sotto altre vesti, di dare una svolta. Così decisi di diventare procuratore: nel settembre 1993 feci l'esame".

    @francGuerrieri 

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