Calciomercato.com

  • Napoli-Fiorentina, gli scudetti passano di qui

    Napoli-Fiorentina, gli scudetti passano di qui

    • Vittorio Niccolai
    Sono nate a distanza di venti giorni, nel 1926. Una nel segno del giglio sbocciato, raffigurazione della dea romana della primavera, Flora, sotto i cui festeggiamenti la città toscana fu fondata (secondo una leggenda); l'altra col favore del cavallo rampante, emblema scelto dai Borboni per il Regno di Napoli, ma ben presto trasformato dall'ironia dei tifosi in somaro (ciucciariello) dopo un'annata catastrofica nella Divisione Nazionale (diciassette sconfitte e un pareggio). Bambine, giocano insieme per la prima volta all'Arenaccia, nel 1928: il Napoli vince 7 a 2, con tripletta di Attila Sallustro. La Fiorentina viene retrocessa e deve aspettare il novembre 1931 per godersi la ripicca: nel nuovo stadio Vesuvio finisce 0-2 con doppietta dell'uruguaiano Pedro Petrone, il primo straniero a vincere il titolo di capocannoniere in una Serie A a girone unico. Novant'anni dopo, sono due fra le realtà più importanti del nostro calcio, cresciute attraverso la condivisione di quattro partite speciali, sigilli di quattro stagioni tricolori.

    Il 31 dicembre 1955, all'Olimpico di Roma, si zizzola. Il campo del Napoli, l'Arturo Collana, è squalificato, quindi Napoli-Fiorentina si gioca dopo Roma-Atalanta, sullo stesso terreno. Sono botte da orbi. La Viola di quel ganzo di Fulvio Bernardini gioca con il “sistema”, un 3-4-3 di grande solidità difensiva, guidato dal “portiere di ghiaccio”, Giuliano Sarti, da Ardico Magnini e Sergio Cervato. In avanti, esentato dai ripiegamenti, gioca un terzetto da leccarsi i baffoni, messo insieme in estate. Senza lilleri un si lallera: Bernardini convince il presidente Enrico Befani a spendere 5500 dollari, al tempo una bella pìsola, per Julio Botelho detto Julinho, che ha incantato ai Mondiali di Svizzera del 1953. “Un'ala può arrivare fino a Julinho, non oltre”. Insieme al brasiliano arriva Michelangerlo Montuori, acqua cheta argentina; davanti ai due sudamericani, il giovane Giuseppe “Pecos Bill” Virgili. La Fiorentina vince 4 a 2 contro i partenopei, con doppiette di Montuori e Virgili, e inizia la cavalcata verso il suo primo scudetto, vinto con cinque giornate di anticipo e con quindici punti di vantaggio sul Milan di Nordhal e Liedholm.

    Nel 1969 si replica. Tre anni dopo la terribile esondazione dell'Arno, sotto il Campanile di Giotto arriva l'ex tecnico del Napoli Bruno Pesaola detto il “Petisso”, che resterà un simbolo di entrambe le squadre, da giocatore e da allenatore. Il presidente (pisano!) Nello Baglini vende in estate il numero uno della Nazionale, Enrico Albertosi, al Cagliari, e Mario Bertini all'Inter: si punta sui giovani. In quel momento, si può immaginare una viola di primavera che entra al San Paolo da capolista? Bischeri. Eppure Pesaola, a settembre, avvisa la piazza: “Signori, ho capito una cosa: se con questa squadra non vinciamo lo scudetto, mi faccio frate.” La difesa vien presto registrata da un brindellone insormontabile, Ugo Ferrante, mentre Giancarlo De Sisti dà sicurezza e geometrie al centrocampo; in avanti ci pensano Amarildo, Rizzo, Maraschi e la ”Freccia di Ponsacco”, Luciano Chiarugi. Ad aprile, davanti al Napoli di Zoff, Guarneri, Altafini e Ottavio Bianchi, si schiera la capofila del campionato, proprio la Fiorentina. E lo resterà, vincendo per 3 a 1 con gol di Maraschi e doppietta di Rizzo. Alla fine dei giochi, dopo la vittoria godereccia in casa della Juventus alla penultima giornata, arriva il secondo scudetto fiorentino.

    A core a core. 10 maggio 1987. Penultimo turno di Serie A, il Napoli invita la sua compagna d'infanzia nel giorno più importante: solo un punto, e gli azzurri saranno campioni d'Italia. Claudio Garella sa come si fa: già tricolore col Verona, di lui Brera dice: “Volto intelligente e matto del cascatore specialista: stile inventato ogni volta, secondo coordinazione sbirulenta.” Oltre a Garella, il presidente Corrado Ferlaino e il direttore Italo Allodi mettono nel carusiello Bruno Giordano, Renica, Volpecina, Romano, De Napoli, Carnevale. La solidità di Bruscolotti, il palo 'e fierro della difesa, e la cazzimma di Salvatore Bagni sono le sicurezze su cui il tecnico Ottavio Bianchi costruisce la nuova squadra. Intorno a Maradona. Quando gli ospiti guidati da Oriali, Gentile e Antognoni escono dal tunnel, trovano uno stadio strapieno, che impazzisce al 29esimo: Maradona mette in moto Carnevale, scambio con Giordano e conclusione. Gol. Dieci minuti più tardi interviene nella storia il giovane Roberto Baggio, che pareggia con una punizione bassa sul palo di Garella. Al Napoli l'1-1 basta, e nel delirio del San Paolo la sobrietà di Bianchi è assordante: “Sono soddisfatto, abbiamo fatto un buon lavoro.”

    Passano due anni. Nel settembre del 1989 l'allenatore del Napoli è Alberto Bigon, frisco 'e rezza; degli eroi dello scudetto rimangono Renica, De Napoli, Carnevale e Ciro Ferrara, che è diventato un punto fermo della difesa. E Maradona. In estate il presidente Ferlaino ha scelto un farfariello della Torres pieno di talento, Gianfranco Zola (18 presenze nella sua prima stagione in Serie A), ma nei mesi precedenti sono arrivati anche Careca, Crippa, Baroni. Alla quinta giornata, la Fiorentina. Che davanti davanti a un Maradona imbronciato in panchina (appena tornato da un periodo di auto-congedo) parte forte: al ventiduesimo Baggio prende palla sulla sua trequarti e con naturalezza vola per settanta metri di campo scartando tre avversari e il portiere. Otto minuti dopo raddoppia, su rigore. Nun se pò fa' 'o battesimo senz' 'a criatura: nell'intervallo Bigon butta dentro il campione argentino, e il Napoli cambia marcia. Renica accorcia con tocco sfortunato di Pioli, Careca e Corradini (all'87esimo) completano la rimonta. Da un Maradona ritrovato fino al secondo scudetto: il passo è breve. Con la Fiorentina, parapatta e pace. Almeno fino a domenica prossima.

    @VittNicc

    Altre Notizie