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  • Napolimania: la smania di vincere può distruggere. Altro rigore netto non dato, cambiate il  sistema arbitrale!

    Napolimania: la smania di vincere può distruggere. Altro rigore netto non dato, cambiate il sistema arbitrale!

    • Marco Giordano
    La differenza, nella vita, è nelle sfumature: perché se la voglia di vincere diventa smania di vincere, allora l'ansia irrigidisce i muscoli, offusca le idee, cancella la lucidità dal vocabolario. Ed è così che si imbocca la strada della sconfitta ed è così che si cancellano i progressi, seppur timidi, fatti nelle ultime gare, ed è così che si ripiomba nelle secche di una stagione che resta di rincorsa, ma anche di insoddisfazione, dalla quale sarà anche complesso riprendersi: perché l'abitudine a vincere e lottare per grandi traguardi si costruisce col tempo, non arriva con uno schiocco di dita, soprattutto se non hai la storia della Juve o la forza, anche economica oltre che societaria dell'Inter.
    Gattuso ha parlato, nel post-gara, consapevole di aver commesso degli errori: dettagli dalla grinta, dalla voglia di non deludere il San Paolo dal desiderio di instillare nel più breve tempo possibile la mentalità vincente al suo Napoli, dalla necessità di strappare una stagione nata male ma che poteva rivitalizzarsi in ottica Champions battendo il Lecce dopo la sconfitta della Roma e con l'Atalanta come vero riferimento per la lotta al quarto posto. Gattuso ha commesso degli errori che possono avere tanti fondamenti, ma sono tappe necessarie nella costruzione di un allenatore di grande squadra. Dopo questa sconfitta, le porte dell'Europa che conta sono, ormai, lontanissime, con la Coppa Italia che resta la strada migliore per conquistare l'Europa.

    ERA RIGORE.
    Se l'analisi della partita si ferma qui, la seconda parte non può che esser dedicata alla questione rigore. Non so, francamente, a quanti episodi dubbi sia arrivato il Napoli. Il retro-pensiero del tifoso è molto molto molto più che legittimo. L'addetto ai lavori deve provare a scendere nel dettaglio. Oggi, la decisione di Giua merita di esser considerato il punto di non ritorno del sistema arbitrale italiano: ad ogni gara di Serie A c'è un uomo sugli spalti inviato dell'AIA che valuta la prestazione di ogni arbitro: questo referto non è pubblico, perché? Perché non possiamo sapere come viene valutato un arbitro, quali sono i suoi errori o le sue decisione corrette? Il punto nodale, però, è un altro: se Giua fosse andato al VAR, avrebbe dovuto cancellare l'ammonizione e concedere inevitabilmente il calcio di rigore. Non andando al VAR, Giua verrà valutato, in un diabolico utilizzo del VAR così voluto per penalizzarne la consultazione, solo dagli errori che potranno essergli imputati sul campo: al massimo, una non corretta valutazione dell'entità di un contatto. Così, per semplificare, la sua 'pagella' potrebbe essere migliore rispetto a se fosse andato a rivedere l'azione, perché il VAR avrebbe certificato un suo errore di valutazione. È un sistema diabolico, quello voluto da Nicchi, l'uomo che dirige dittatorialmente l'AIA, uno che ha portato allo svuotamento del VAR. Anche perché, commettere e certificare errori, come accaduto con Pasqua post Juve-Fiorentina, significa esser fermati e quindi perdere soldi e possibilità di fare carriera. Non è colpa di Giua se ha famiglia, se spera di far carriera. È colpa di un sistema sul quale Gravina deve intervenire se non vuole cancellare ogni tipo di credibilità al calcio italiano.

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