Calciomercato.com

  • Picchi, il capitano della Grande Inter: le liti con Herrera, la pelle 'amaranto', il tragico destino

    Picchi, il capitano della Grande Inter: le liti con Herrera, la pelle 'amaranto', il tragico destino

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    E’ il 6 aprile 1968. In Bulgaria si sta giocando l’andata dei quarti di finale della Coppa Europa per Nazioni. Dopo la fase a gironi le otto squadre rimaste si affrontano in partite di andata e ritorno.

    Rivali dei bulgari sono gli azzurri di Ferruccio Valcareggi.

    La Bulgaria è tutt’altro che una squadra mediocre.

    Nel suo girone di qualificazione ha avuto la meglio su Svezia, Norvegia e soprattutto sul Portogallo di Eusebio, Torres e Simões, compagine capace meno di due anni prima di salire sul terzo gradino del podio dei Mondiali di calcio disputati in Inghilterra.

    Penev, Zhekov, Popov sono giocatori di ottima levatura.

    Ma in mezzo a loro c’è un fuoriclasse autentico: si chiama Georgi Asparuhov.

    In Italia ha tantissimi estimatori. La sua prestazione a Firenze di meno di tre anni prima nello spareggio tra la sua Bulgaria e il Belgio per l’ammissione ai mondiali d’Inghilterra del 1966 è rimasta scolpita nella mente dei più importanti allenatori e dirigenti italiani.

    Nereo Rocco lo sognava per il suo Torino allora e per il suo Milan ora.

    ... solo che dopo il disastro dei Mondiali inglesi la Federazione Italiana ha deciso di chiudere le frontiere e Asparuhov è rimasto un sogno.

    E’ lui lo spauracchio per la difesa azzurra.

    Valcareggi si affida a Giancarlo Bercellino, lo stopper della Juve, per limitarne il gioco.

    Dietro di lui come ultimo baluardo c’è l’uomo che ha guidato la difesa dell’Inter fino all’estate precedente, alzando al cielo in quattro anni la bellezza di tre campionati, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali.

    Picchi non è più all’Inter. I suoi dissidi con il “mago” Helenio Herrera hanno portato l’allenatore nerazzurro a presentarsi davanti al Presidente Angelo Moratti con un “àut àut” estremamente chiaro: «O mandate via Picchi o vado via io».

    Messo spalle al muro Moratti decide di lasciare il mago Herrera le redini della squadra e di prescindere dal suo amato capitano.

    Per Picchi, che ha già trentadue anni, non c’è esattamente la fila per il suo cartellino.

    Finisce in provincia, a Varese, in una squadra che come obiettivo ha quello della salvezza.

    Questo però non sposta di una virgola la convinzione di Ferruccio Valcareggi. Per il nuovo selezionatore della Nazionale Picchi nel suo ruolo è ancora il migliore di tutti e per quella fondamentale partita si affida a lui per dirigere e organizzare il reparto difensivo.

    La partita è probabilmente ancora più difficile del previsto.

    La Bulgaria gioca un buon calcio e crea continui problemi agli azzurri.

    A metà della ripresa segnano il gol del due a uno, viziato da una violenta carica sul portiere azzurro Ricky Albertosi che deve uscire infortunato.

    Picchi dopo neppure mezzora di gioco è rimasto vittima di un duro scontro con un avversario. Rimane stoicamente in campo ma nel finale è in evidente difficoltà.

    Quando ad un quarto d’ora dalla fine il difensore bulgaro Yetchev segna il gol del tre a uno la sorte per gli azzurri sembra segnata.

    Di minuti ne mancano sette quando su un pallone rasoterra dalla destra di Gianni Rivera è il giovane Pierino Prati, al suo esordio in Nazionale, a ridare speranza agli azzurri in vista della gara di ritorno a Napoli con una gran botta di destro che s’infila sotto la traversa.

    Quando gli azzurri tornano negli spogliatoi c’è sollievo e una ritrovata fiducia nel passaggio del turno.

    C’è però un problema che si rivelerà ben presto di una gravità assoluta.

    Armando Picchi ha dei dolori fortissimi al bacino e al pube.

    Non riesce neppure a rientrare in Italia con la squadra ma rimane in ospedale a Sofia per accertamenti.

    Dopo pochi giorni, al suo rientro in Italia, arriva un verdetto gravissimo che lascia tutti increduli: frattura del tubercolo pubico sinistro.

    Quella sarà la 12ma e ultima partita di Armando Picchi in Nazionale e di fatto, la fine della sua carriera agonistica.


    Armando Picchi nasce a Livorno il 20 giugno del 1935. E’ proprio nella squadra della sua città che muove i primi passi come calciatore professionista.

    Gioca da terzino, è rapido, bravo in marcatura e sempre attentissimo e determinato e ama spingersi in attacco alla prima occasione.

    Al termine della stagione 1958-59 al Livorno arriva un’offerta dalla Spal del Presidente Paolo Mazza, squadra che milita nella massima serie del calcio italiano.

    Sarà una stagione memorabile per i ferraresi che chiuderanno il campionato al quinto posto, miglior risultato della loro storia.

    Le prestazioni del giovane toscano non sono passate inosservate ai grandi club del Nord. Italo Allodi, Direttore Sportivo dell’Inter, non ha dubbi: è un giocatore da mettere a disposizione di Helenio Herrera, appena arrivato alla guida del Club e reduce dai successi in Spagna con Barcellona e Atletico Madrid. Dopo pochi mesi Helenio Herrera ha una delle sue intuizioni: l’ex terzino di Livorno e Spal è perfetto per la sua idea di calcio ovvero un uomo alle spalle di tutti i compagni a proteggere la difesa. La versione del “libero” probabilmente più difensivista mai vista prima di allora. Picchi, che calcisticamente ha un’intelligenza superiore, è perfetto per quel ruolo. Da dietro vede lo sviluppo del gioco, lo anticipa e il suo senso della posizione diventa proverbiale.

    ... a tal punto che spesso e volentieri sconfessa apertamente le istruzioni del “Mago”!

    «Ok ragazzi. Adesso cambiamo. Tu “molli” Tizio e ti metti in marcatura su Caio. Tu avanzi venti metri e “curi” a uomo Sempronio» ... il tutto senza che a volte Herrera se ne accorgesse neppure!

    Giocatori di valore assoluto come Mazzola, Suarez o Facchetti riconoscono immediatamente le doti di leader di Picchi.

    L’ascesa dell’Inter è perentoria.

    Dopo il terzo posto della prima stagione di Herrera e Picchi (1960-61) arriva un piazzamento d’onore in quella successiva.

    Nel maggio del 1963 arriva il titolo a cui seguiranno trionfi in serie.

    I dissapori con il Mago però sono sempre più frequenti e di sempre maggiore intensità.

    Pare che al termine di ogni stagione Herrera indichi a Moratti i giocatori da cedere e da rimpiazzare nella campagna acquisti: Picchi è praticamente sempre il primo della lista.

    ... Solo che Moratti per anni fa finta di nulla ...

    Al termine della stagione 1966-67, chiusa al secondo posto dietro la Juve e ricordata in eterno dal popolo nerazzurro per l’errore del portiere Sarti a Mantova all’ultima giornata, arriva come raccontato all’inizio l’ultimatum di Herrera.

    Armando Picchi va a Varese.

    I lombardi, guidati dal loro nuovo capitano, chiudono la stagione con un eccellente settimo posto a pari merito con il Torino ... e ad un solo punto dall’Inter che invece chiude con un deludente quinto posto.

    ... Quanto fosse importante Picchi per i nerazzurri in parte sta anche in questa statistica ...

    Prima della fine di quella stagione arriverà quel maledetto giorno di aprile a Sofia ... che priverà probabilmente gli azzurri del loro libero titolare ai Mondiali messicani del 1970 dove sono in molti a pensare che con lui a guidare la difesa il fenomenale Brasile di Pelé e compagni forse avrebbe fatto qualche gol in meno ...


    L’ALLENATORE
    Armando Picchi dopo il terribile infortunio in Nazionale e una lunga convalescenza prova a tornare in campo. Ma è lui il primo ad accorgersi di essere la pallida controfigura del giocatore di prima.

    Il passaggio successivo è assolutamente naturale e scontato: Picchi, di quel Varese diventerà l’allenatore continuando praticamente a fare quello che già faceva in campo.

    La panchina gli viene affidata però solo ad una manciata di partite dalla fine con la situazione della squadra già compromessa.

    Il Varese, per un solo punto, tornerà nella serie cadetta e Picchi chiuderà il suo rapporto con il club lombardo.

    A novembre di quello stesso anno arriva la chiamata più bramata dal livornese Armando Picchi.

    La squadra della sua città, che ama visceralmente, è inguaiata nella lotta per non retrocedere dalla serie cadetta alla Serie C.

    Picchi non è più in grado di mettere gli scarpini da calcio ma dalla panchina riesce a compiere il miracolo: Il Livorno si salva senza affanni grazie ad una splendida rimonta che permette ai “labronici” di chiudere con un insperato nono posto finale.

    Ma se la chiamata dalla dirigenza della squadra della sua città lo ha riempito di gioia e di orgoglio quella che gli arriverà al termine di quella stagione lascerà Armando Picchi senza parole: Italo Allodi non si è dimenticato della sua prorompente personalità e della sua attitudine al comando.

    Lo vuole come allenatore alla Juventus.

    Una Juventus che si sta rifondando
    e che in quella stessa estate inserirà nella rosa della prima squadra calciatori che diventeranno fondamentali nei futuri trionfi della “Vecchia Signora” ... Fabio Capello, Luciano Spinosi e con Roberto Bettega e Franco Causio che torneranno alla base dopo i prestiti al Varese e al Palermo.

    Boniperti si fida di Allodi e nella stagione 1970-71 Armando Picchi diventa il nuovo allenatore della Juventus.

    Il destino però non ne ha avuto abbastanza.

    E dopo avergli chiuso con quel grave infortunio la carriera ora si ripresenta in maniera ancora più spietata: quello che sembra un forte dolore alla schiena che condiziona la presenza di Picchi in allenamento si rivela purtroppo un male incurabile.

    Picchi sta guidando da par suo la Juventus che nonostante il profondo rinnovamento riesce a rimanere nelle posizioni di vertice della classifica alla quale aggiungere l’ottimo cammino in Coppa UEFA.

    A febbraio però le sue condizioni sono talmente critiche che Picchi deve abbandonare il suo ruolo che verrà affidato a Čestmír Vycpálek.

    Nei mesi successivi le speranze di una sua guarigione diventano sempre più effimere.

    Il 26 maggio del 1971, a meno di un mese dal compimento del 36mo anno di età Armando Picchi se ne andrà per sempre.

    Due giorni dopo la Juventus che aveva iniziato a costruire scenderà in campo contro gli inglesi del Leeds United nella partita di andata della finale di Coppa UEFA.

    Armando Picchi, che aveva giocato in Nazionale, nella grande Inter e seduto sulla panchina della Juventus lascia nel ricordo di tutti la sua frase più ricorrente: «La prima volta che ho indossato la maglia del Livorno mi sono sentito nudo. Si, perché la mia pelle è già color amaranto»


    ANEDDOTI E CURIOSITA’

    Le origini livornesi, il nonno paterno costretto ad emigrare in Corsica durante il ventennio fascista, quello materno di fede anarchica ed estremamente bellicoso, i genitori benestanti e che avevano sempre spronato allo studio i figli. Il fratello Leo, assai più grande di Armando che segnò l’ultimo in gol in serie A del Livorno prima del ritorno nella massima serie 55 anni dopo ... tutte cose di cui Armando andava profondamente orgoglioso.

    Sul suo rapporto conflittuale con Herrera sono davvero tantissimi gli aneddoti.

    Dopo uno dei trionfi in Coppa Intercontinentale e con la squadra appena rientrata dalla trasferta Helenio Herrera ordina di ritrovarsi la mattina dopo per partire in pullman per il ritiro in vista della partita di campionato successiva.

    Picchi chiede immediatamente udienza ad Angelo Moratti.

    «Presidente abbiamo appena vinto una Coppa Intercontinentale, siamo felici e stanchi ed Herrera ci vuol portare subito in ritiro» è il lamento del capitano al proprio Presidente.

    «Semplice. Voi non presentatevi all’appuntamento e rimanete tranquilli a casa» è il brillante quanto inatteso consiglio di Moratti.

    Herrera va su tutte le furie, irrompe nell’ufficio di Moratti e minaccia ripercussioni ... e forse addirittura le dimissioni.

    Moratti riesce a far tornare alla ragione il “Mago” ... che però ha ben chiaro su chi sia l’organizzatore dell’ammutinamento!

    Un altro brillante aneddoto è raccontato dal figlio di Angelo Moratti, Massimo, che diventerà Presidente dell’Inter diversi anni dopo entrando nella storia come il “Presidente del Triplete”.

    Prima della finale di Coppa dei Campioni contro il Celtic di Glasgow (poi persa dai nerazzurri per due reti ad una) Massimo chiama in albergo per scambiare quattro chiacchiere con capitan Picchi.

    «Come va Armando?» chiede il giovane Moratti.

    «Malissimo. Herrera ci sta massacrando la testa
    e ... qualcos’altro continuando a parlarci di questi scozzesi, di quel Johnstone che a sentire lui sembra Pelé, di tattiche, di marcature ... noi stiamo per scoppiare!» dice senza troppi giri di parole Picchi.

    Che poi aggiunge.

    «Sa cosa ci servirebbe per rilassarci? Che ci portasse tutti in un bel locale di ballerine! Quello si che ci farebbe bene!» strappando una grassa risata al giovane Moratti.


    E’ Sandro Mazzola a raccontare quanto accadde durante una partita dell’Inter contro il Torino.

    «Non ne stavo azzeccando una. Poletti, il mio arcigno marcatore, non mi dava respiro. Andammo in svantaggio. Mi accorsi presto che continuando a giocare in attacco sarei stato poco utile alla squadra e volevo arretrare partendo più da lontano. Ma avevo una gran paura di far arrabbiare Herrera! Così andai da Armando e gli parlai della mia idea. “Gioca dove ti senti e non preoccuparti. A Herrera ci penso io”.

    «Ribaltammo il match, io segnai una rete e vincemmo due a uno.

    ... a fine partita sentimmo il Mago dichiarare ai giornalisti che la sua “mossa” di arretrarmi a centrocampo aveva cambiato l’esito dell’incontro ...»

    Anche il grande Luisito Suarez ha tanti ricordi di Armando Picchi.

    «Era intelligente e aveva una personalità enorme. Faceva l’allenatore in campo. Con lui da libero Burgnich e Guarneri rendevano il doppio. Si sentivano tranquilli e protetti.

    Il difetto più grosso di Armando? Diceva un sacco di parolacce in livornese! Magari ti offendeva anche ... solo che io non capivo mai cosa volessero dire ... »

    Infine il ricordo di Giuliano Sarti, portiere di quella grande Inter e che con Picchi aveva diverbi continui in campo su come organizzare la difesa.

    «Litigavamo di continuo. Lui aveva le sue idee ed io le mie e quasi mai collimavano. Però una cosa la devo riconoscere: mai in carriera ho conosciuto uno con il suo carisma. E poi sapevamo tutti che aldilà di quel carattere apparentemente burbero era un uomo di una bontà incredibile.»

    Altre Notizie