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  • Roma, le 'ragioni' del delisting: da Sensi a Friedkin, la fine di un'epoca

    Roma, le 'ragioni' del delisting: da Sensi a Friedkin, la fine di un'epoca

    • Marcel Vulpis
      Marcel Vulpis
    Lo scorso 14 settembre la Roma è uscita ufficialmente dalla Borsa. Termina così un progetto durato ben 22 anni, su input dei nuovi proprietari americani (la famiglia Friedkin) attualmente detentori del 100% delle quote del club giallorosso. Un’operazione non indolore visto che per riappropriarsi del controllo totale sono stati spesi non meno di 38 milioni di euro.

    Innovativa poi l’idea di abbinare al prezzo per azione (offerta ai tifosi-azionisti) anche un programma di loyalty (fidelizzazione) per premiare chi ha deciso di comprare le azioni giallorosse più come gesto d’amore che come investimento (attraverso un programma speciale ribattezzato “Assist Club”). Un incentivo chiaramente a cedere per completare l’intera operazione.

    Cosa cambia nel concreto
    Il delisting era stato già annunciato dai Friedkin, più di due anni fa, in fase di acquisizione del club. Con l'uscita dalla Borsa la Roma è finalmente una società più dinamica, anche perché vengono a cadere molti vincoli burocratici. Tutte le società quotate in Borsa infatti si muovono in maniera ingessata rispetto al libero mercato privato, avendo, per legge, determinati paletti da rispettare. Ad esempio sono previste informative obbligatorie e periodiche al mercato, una costante trasparenza (con particolare attenzione all’ingresso di nuovi soci e alle operazioni di compravendita di calciatori), senza considerare le spese previste per garantire strutture interne di controllo (da alcuni analisti stimate in più di 3 milioni di euro su base stagionale).

    Oltre a ciò la Roma, nel futuro, con un solo azionista di controllo, potrà muoversi in modo più agile programmando, ad esempio, la riorganizzazione dei piani finanziari e industriali. In sintesi un evento non traumatico per l’imprenditore texano Dan Friedkin, perché così avrà modo di rimettere in asse l’intero gruppo AS Roma, a partire dal progetto del nuovo stadio, passato, fino ad oggi, per le mani di quattro sindaci (Gianni Alemanno, Ignazio Marino, Virginia Raggi e, adesso, il neo eletto Roberto Gualtieri), senza vedere mai la luce. Un’operazione tra l’altro che, a sentire, l’ex presidente giallorosso James Pallotta, è costata non meno di 60 milioni di euro solo a livello di progettazione. Peccato, però, che quel progetto, inizialmente anche avveniristico (per la prima volta la capitale d’Italia avrebbe avuto, accanto ad un impianto sportivo, una “skyline” iper tecnologica come le più importanti metropoli europee) è tramontato e il tutto è stato trasferito, come idea, a Pietralata (ripartendo di fatto da zero).

    Cosa resta del progetto di Sensi
    Si chiude così una stagione (ben 8.149 giorni di presenza sul listino borsistico) aperta il 23 maggio 2000 dal presidente dell’epoca Franco Sensi, che scelse di quotare la società, più per moda che per convinzione (seguendo il boom dei titoli delle squadre inglesi). Anche perché le società italiane 22 anni fa erano ancora meno strutturate di oggi per gestire uno “sbarco” a Piazza Affari. Una cosa è certa: la società giallorossa va ristrutturata in tempi rapidi e le realtà quotate in Borsa sono troppo difficili da manovrare per sopportare una strategia shock. L’opzione delisting pertanto è più che corretta, anche perché l’azienda, ricapitalizzata e ristrutturata in modo strategico, può tornare a valere sul mercato.

    La nuova Roma dei Friedkin può ancora guardare al listino (un ritorno in linea di principio non è da escludere), ma dovrà presentarsi con un’immagine più moderna, con un assetto imprenditoriale ancora più solido, e, come sottolineano diversi esperti, con in pancia, soprattutto, il progetto dello stadio finalmente realizzato (asset strategico per qualsiasi quotazione in Borsa).
     
     
     

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