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  • Roma, Totti 'Quell'Inter indistruttibile, l'1-7 e Ilary...'

    Roma, Totti 'Quell'Inter indistruttibile, l'1-7 e Ilary...'

     

    In occasione del Natale, Christian Panucci intervista il numero 10 della Roma,Francesco Totti, suo compagno di squadra nel periodo post scudetto, fino al 2009. L’intervista integrale andrà in onda il 25 dicembre alle 21 nella rubrica “I Signori del calcio”, su Sky Sport 1 HD. A seguire, alle 22, lo speciale “Totti, 200 gol… e oltre”.   

    Ci sono due persone che conosco bene e che sono tuo padre e tua madre. Quanto sono stati importanti per te?

    Sono state le persone più importanti per me, nell’insegnamento, nell’educazione, nel farmi capire il senso del rispetto e, soprattutto, per quello che ho fatto fino a oggi. Se non avessi avuto loro, non sarei qui a parlare oggi. Avere una famiglia che ti segue e ti sostiene sempre vuol dire avere la possibilità di arrivare fino in fondo.

    Com’eri da piccolo?

    Ero un “paravento” come mio figlio Christian. Nel senso che, come lui, mi divertivo, ero un “giocarellone”, rompevo le scatole a tutti. In certe situazioni, mi rivedo in lui e questo mi fa piacere, era la cosa che sognavo.

    Passato il dopoguerra, ci sono stati due grandi numeri 10: uno è Gianni Rivera e l’altro è Francesco Totti. Quando ti sei accorto di vedere quello che gli altri non vedevano?

    Grazie per il paragone perché, vedermi accostato a un giocatore come Gianni Rivera, per me è fonte di orgoglio. Non riesco a vedere ciò che vede la gente, perché io devo farlo. Ogni tanto rivedo le immagini delle partite e alcune cose, sinceramente, non riesco a capirle neanche io quando le faccio. Soprattutto certi gesti difficili.

    Quanto sei orgoglioso della tua scuola calcio?

    Tanto, perché mi piace vedere i bambini che si divertono, che giocano. Poi, lo sport è fondamentale per i bambini, soprattutto quando sono così giovani. E’ uno sfogo, un divertimento, un passatempo. E’ una cosa che mi piace seguire e spesso vado a vedere come si comportano.

    Il 28 marzo del ’93 esordisci a Brescia. Sono passati quasi vent’anni. Pensavi che avresti avuto una carriera così bella?

    No, non pensavo che avrei avuto una carriera così prestigiosa. Ma, da quel momento, ho pensato che il calcio fosse il mio lavoro principale. Più che un lavoro, una passione che ho sempre avuto fin da piccolo. Ho sempre cercato di dare il massimo e sono arrivato fino a questo punto.

    Mazzone è stato molto importante per la tua carriera. Com’era il tuo rapporto col mister?          

    Tuttora lo ringrazio, perché per me è stato come un secondo padre. Ho avuto la fortuna di averlo negli anni più importanti di un giocatore, tra i sedici e i diciannove anni. Mi ha gestito nel migliore dei modi, anche perché in una città importante come Roma non è facile gestire un giovane, soprattutto romano, che la gente voleva che giocasse, invece lui mi teneva un po’ distante da tutto.

    Cosa ti ricorda il 4 settembre del ’94?

    E’ un ricordo bellissimo, che porterò con me per tutta la vita, anche perché in quel giorno ho fatto il mio primo gol in Serie A contro il Foggia.

    Nel ’98-’99, con Zeman, diventi capitano della Roma. E’ stato il tuo primo grande salto di qualità?

    Sì, perché essere il capitano della Roma è una cosa che mi inorgoglisce, che ho sempre pensato di fare e cercato di fare nel migliore dei modi. Ho avuto la fortuna di realizzare questo sogno.

    In quell’anno diventi anche rigorista della Roma.

    Sì, non c’era nessuno!

    A volte, basta sbagliare un rigore per far scoppiare un putiferio.

    Purtroppo nel calcio capita anche questo. Io, di rigori, ne ho sbagliati parecchi.

    Cosa ti è dispiaciuto di quello che hanno detto dopo l’ultimo rigore fallito davanti a Buffon?

    Vorrei specificare lo sfogo post partita nei confronti dei tifosi della Roma, che so quanto mi amino e mi vogliano bene, e la cosa è reciproca. Però, mi è dispiaciuto il modo in cui si sono esposti in certi momenti, soprattutto davanti ai miei figli. Finché la critica è costruttiva, accetto tutto a testa alta, ma se mi offendono davanti ai miei figli non ci sto. Non volevo offendere i tifosi, ma mi sono sentito tradito quando ho dato il mille per mille per questa maglia e ci ho messo la faccia.  

    Che ricordo hai della stagione 2000-2001?

    Un ricordo troppo bello, perché sono riuscito a realizzare quello che ho sempre voluto, cioè vincere lo scudetto con la Roma da capitano, da protagonista. Fortunatamente, ho capito cosa significhi vincere uno scudetto a Roma.  

    Il tuo rapporto con Capello.

    Ho sempre rispettato sia la persona che l’allenatore. Ho sempre avuto un buonissimo rapporto con lui. Quando è andato via c’è stato un piccolo screzio, ma è finita là, anche perché è uno degli allenatori che ho sempre stimato e stimerò sempre.

    Ambiente Roma.

    Per me è l’ambiente che è difficile. Io, fortunatamente, ho la possibilità di conoscerlo, so cosa vorrebbero dalla squadra. Però, purtroppo, non sempre nel calcio si possono trovare cose che tutti vorrebbero.

    L’anno dopo lo scudetto sono arrivato io e tutti dicevano che la Roma era ancora più forte di prima, ma non riusciva più a vincerlo. Perché è così difficile confermarsi a Roma?      

    Abbiamo avuto la possibilità di vincere non solo l’anno dopo ma anche in quelli successivi, finché c’era Capello. Purtroppo abbiamo sbagliato le partite più importanti, due o tre di quelle decisive, ed è cambiato tutto.

    Nel 2003 esce il tuo libro delle barzellette. Da dove nasce questa idea?

    L’idea era quella di fare dell’autoironia, perché in quel momento c’erano troppo persone che mi prendevano in giro, soprattutto sulla vita privata, e mi dava fastidio. Allora sono voluto tornare indietro, ho voluto ripartire da zero e scherzare su me stesso. Credo sia stata la cosa più bella che potessi fare.

    Nel 2005 conosci la persona più importante, Ilary. Che ricordo hai di quel periodo?

    Ilary, per me, è tuttora importante perché mi trasmette serenità, è una persona tranquilla, gioiosa, mi ha aiutato nei momenti difficili che ho attraversato in alcuni anni. E’ una persona intelligente e una mamma perfetta, una persona davvero speciale, sempre solare, e poi mi ha dato questi due gioielli. Perciò è una persona indiscutibile.

    Era Spalletti.

    A Genova, contro la Sampdoria, mancavano quattro attaccanti e mi disse: “Te la senti di giocare da prima punta?”. Mi son detto “Proviamoci, i piedi sono quelli”. Al massimo finisce 0-0. Invece, da quella domenica ho segnato e non mi ha più tolto da lì. In quel momento ho capito che quello era il ruolo che preferivo.  

    L’infortunio prima di Sudafrica 2010.

    Ho un ricordo bruttissimo, è stato il mio primo serio infortunio. Ho subito capito che fosse grave, tenevo la caviglia, ma era come se non ce l’avessi. Durante l’intervento ho pensato a tutto. Avevo paura, pensavo al mondiale e poi, con la forza e la determinazione che ho sempre avuto, sono riuscito a uscirne fuori.

    Quanto ti ha fatto crescere?

    Tanto, perché ho capito alcuni aspetti di me stesso. Ho capito che potevo tirarmi su anche da solo.

    Con Spalletti, a livello europeo, la Roma ha accresciuto il suo prestigio.

    Sì, soprattutto in Champions League, abbiamo fatto dei miglioramenti anno dopo anno. Purtroppo, l’episodio di Manchester ci ha fermato. E’ difficile vincere la Champions, non impossibile perché niente è impossibile. Ma vincerla sarebbe stato un privilegio.

    Che ricordo hai del 7-1 di Manchester?

    Speravo che la partita finisse il prima possibile, perché era un incubo. Facevano bene a entrare da tutte le parti, perché quando una squadra ha la possibilità di asfaltare è giusto che lo faccia.

    In quel periodo, in Italia, l’Inter era la squadra più forte?

    Sì, purtroppo abbiamo incontrato l’Inter più forte di tutti i tempi, era devastante. Speravamo di vincere lo scudetto, purtroppo non ci siamo riusciti.

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