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  • Romamania: Maradona visto da un giallorosso, eravamo gemellati e vidi Diego preparare la punizione anti Juve

    Romamania: Maradona visto da un giallorosso, eravamo gemellati e vidi Diego preparare la punizione anti Juve

    • Paolo Franci
    E' il 28 aprile 1985. Siamo a poche ore da un Roma-Napoli che si chiuderà con un pareggio. Gol di Bertoni su assist magnifico di Maradona eppoi pareggio su autogol. E' la Roma di Sven Goran Eriksson e i tifosi delle due squadre, all'epoca, sono ancora gemellati. Amici.

    Ah sì, lo so: questa rubrica si chiama Romamania. Mi perdonerete però, se la utilizzo per ricordare un aneddoto che fa parte di un calcio che non c'è più. Il calcio dell'andiamo allo stadio cinque ore prima per prendere il posto, con lo zainetto, le bibite e il panino fatto in casa. Dei tamburi in curva. Delle interviste ai giocatori in accappatoio negli spogliatoi. Dei giornalisti Rai, tipo il Maestro Galeazzi, che mettevano il braccio attorno al collo al calciatore e gli piazzavano il microfono davanti. Provate a immaginare oggi, un qualsiasi collega di Sky, che ne so, Nosotti, che zampetta svelto sull'erba e mette un braccio intorno al collo di Ibra...

    Ero un ragazzo nell'aprile del 1985. Andavo allo stadio da tesserato. E quel giorno arrivai molto presto. Parcheggio sotto al piazzale della Farnesina e poi, con mio fratello Luca, 14enne e più piccolo di me di nove anni, ci incamminiamo verso la Curva Sud che sta esattamente dall'altra parte rispetto a dove eravamo noi. C'è ancora poca gente in giro. Passiamo alle spalle del Palazzo H, il Coni, la casa dello sport degli italiani. Non vediamo l'ora di goderci quello che, all'epoca, si chiamava il Derby del Sole. Lo stadio dei Marmi sembra ancor più bianco per la luce intensa. Sul prato verde, due porte da hockey bianche e nere, leggermente arrugginite.

    Sulle tribune di marmo non c'è anima viva. In mezzo a quel prato perfetto c'è un ragazzo tarchiato, moro, i capelli ricci molto lunghi, con una maglia azzurra e un paio di pantaloncini scuri.

    Lo guardiamo. Io e Luca ci guardiamo. E' Diego Armando Maradona. Lì, con lui c'è una persona sola in maglia e calzoncini. Credo fosse il fido Salvatore Carmando, fisioterapista (all'epoca si diceva: massaggiatore...) del Napoli. Diego ha il pallone tra i piedi e, a una decina di metri abbondanti da quella piccola porta fa una cosa difficile anche da spiegare. Calcia da fermo colpendo la palla in un modo mai visto prima. Sembra schiacciarla verso il basso con l'interno collo sinistro in modo da farle prendere improvvisamente vita. La palla si impenna, docile e piena di effetto, sempre verso lo stesso punto, l'incrocio dei pali di quella porticina bianca e nera colata di ruggine. Io e Luca ci sediamo sui gradoni dello Stadio dei Marmi. E guardiamo Maradona ipnotizzati, riprendere la palla e farlo ancora. E ancora. E ancora. Eravamo a pochi metri di distanza. Lui, concentratissimo, ci degna appena di uno sguardo.

    Certo non potevamo sapere che quel modo i calciare da breve distanza e da fermo, pochi mesi dopo sarebbe diventato un gesto immortale, un metafora e simbolo di un'epoca straordinaria per Napoli e il calcio italiano. Sì perché poco più di sei mesi dopo, il 3 novembre 1985, Diego segnerà proprio in quel modo, contro la Juve. Punizione a due in area, Pecci la tocca per Maradona che col sinistro, appena spostato sulla destra e a circa 11 metri da Tacconi, riesce a scavalcare la barriera _ certo piazzata non a distanza regolamentare, basta riguardare le immagini... _ e mandare la palla nel sette, con Tacconi che si schianta sul palo . Quel gol ridefinirà le regole dell'architettura del pallone e delle sue traiettorie. E darà certezza del fatto che ciò che sembra impossibile prima o poi diventerà possibile. La sintesi perfetta del genio di Diego Armando Maradona.

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