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  • Sabatini: 'Mi pento di aver lasciato l'Inter, ma Zhang non ha entusiasmo. Inzaghi farà bene. Occhio a Spalletti e Mou'

    Sabatini: 'Mi pento di aver lasciato l'Inter, ma Zhang non ha entusiasmo. Inzaghi farà bene. Occhio a Spalletti e Mou'

    Inizia il campionato, domani toccherà al suo Bologna e il Direttore Sportivo rossoblù Walter Sabatini ha spiegato alla Gazzetta dello Sport le sue visioni sulla Serie A che sta per iniziare, arricchendole con qualche paragone letterario, da grande uomo di cultura qual è.

    Cominciamo dal Bologna. È vero che ha pensato di andarsene dopo la sconfitta con la Ternana in Coppa Italia, per 4-5?
     “No, volevo andarmene prima, per motivi personali. Ora ho l’obbligo morale di rimanere, soltanto i topi scappano dopo una disfatta. Voglio essere testimone della resurrezione, dobbiamo entrare nel lato sinistro della classifica. Vediamo quanti punti facciamo e come li facciamo. Se andrà bene, resterò. Sennò, a casa. Mihajlovic è un grande tecnico. Glielo ripeto sempre: 'Tu non sei un allenatore, tu sei l’allenatore' ”.
     
    Lei ha lavorato per gli Zhang sia all’Inter, a Milano, sia allo Jangsu, in Cina. Li ha osservati dall’interno, se ne è andato in fretta. Aveva intuito il tracollo?
     “L’Inter mi ha trattato benissimo, in Cina ero spesso ospite a casa della famiglia Zhang e ho commesso un peccato mortale nell’andar via. Non si lascia l’Inter, continuo a pentirmi di averlo fatto. Però qualche scricchiolio si avvertiva e non vedevo l’entusiasmo giusto. Non dico che un proprietario debba essere fanatico, ma un po’ tifoso sì”.
     
    L’Inter di oggi?
     “Hakimi e Lukaku non si sostituiscono con facilità, ma noto che Simone Inzaghi detta delle linee di gioco nuove e affascinanti, e penso che faranno bene. Il prossimo campionato sarà bello e incerto perché una nuova variabile lo scaverà nel profondo. Con gli stadi a porte chiuse i calciatori si sono abituati a giocare a Subbuteo, nel silenzio. Con il ritorno del pubblico tante prestazioni verranno modificate dai sentimenti sugli spalti”.
     
    Lei è risultatista o giochista? Allegri o Guardiola?
     “In un’altra epoca cercai di portare Allegri alla Roma. Lui sa che è in debito con me, perché si prese un impegno, poi disatteso. Questo non mi impedisce di scegliere Allegri perché è un pragmatico. Le squadre devono fare i punti, le sconfitte dilaniano, rovinano, avvelenano. Nessun calcio spettacolare, per quanto bello, può permettersi di essere perdente. Dico sì ad Allegri e alla sua concretezza”.
     
    Ronaldo sì o no?
     “Come si fa non tenere Ronaldo? Speriamo che resti alla Juve. Io voglio che la Serie A ritorni a essere la mecca del calcio come negli anni Ottanta. Oggi un giocatore ci pensa tre volte prima di accettare l’Italia e questo mi offende. Se CR7 se ne va, perdiamo altro fascino”.
     
    Quale squadra della nuova Serie A la solletica di più?
     “Per me Spalletti è un genio del calcio e sono curioso di vedere che cosa farà al Napoli. Già si scorge l’embrione di un grande progetto. Il calcio di Spalletti ha un bel respiro, crea tante linee di passaggio, esalta gli attaccanti. Penso che Osimhen possa diventare immarcabile”.
     
    Lei è stato con Spalletti a Roma: la guerra santa con Totti...
     “Questa storia ha oscurato il gran lavoro di Luciano in giallorosso. Un anno (nel 2016-17, ndr) la sua Roma raggiunse gli 87 punti e a 87 spesso si vince lo scudetto (lo vinse la Juve di Allegri con 91, ndr). Lo scontro con Totti è stato umiliante per tutti, per Totti stesso. Troppi equivoci, non mi va di parlarne”.
     
    Oggi alla Roma c’è Mourinho.
     “Il Napoli di Spalletti e la Roma di Mou saranno le sorprese del campionato. Anche Mou è pragmatico e determinato”.
     
    Mourinho come il colonnello Aureliano Buendia di “Cent’anni di solitudine”, il romanzo più noto di Marquez?
     “Ci sta. Come lui sopravviverà a ogni attentato e tentativo di fucilazione. Mourinho può essere assimilato a qualsiasi personaggio letterario e ha detto una verità inconfutabile: “Chi sa tutto di calcio non sa niente di calcio”. Mou come Buendia ha un’aura di eroismo e di invulnerabilità”.
     
    E Sarri?
     
    “Come me si è intossicato con le sigarette. Se avessimo lavorato assieme, una nube di fumo ci avrebbe avvolto. Si è spaccato la schiena nelle categorie inferiori, si è costruito da sé. Ho grande simpatia per lui e il suo gioco”.
     
    Sarri ama Bukowski, scrittore maledetto e sboccato, e però impone alle squadre la massima organizzazione.
     “Bukowski dormiva in giacigli sporchi, beveva e fumava, poi scriveva racconti bellissimi. La creatività ha bisogno del caos. Io stesso mi nutro di confusione, la staticità mi uccide”.
     
    Il Milan? 
    “Maldini e Massara sono stati bravissimi. Hanno preso una squadra quasi in rovina e l’hanno riportata in Champions”.
     
    Il giovane più forte?
     “Zaniolo ha tutto: tecnica e forza. Se non lavorassi al Bologna, aggiungerei Musa Barrow”.
     
    Il tecnico giovane?
     “Mi intriga Dionisi del Sassuolo. E mi sono segnato sull’agenda Cristiano Lucarelli della Ternana: mi è piaciuto nella gestione della partita contro di noi e nell’analisi post gara”.
     
    Non trova che i procuratori siano diventati i nuovi veri direttori sportivi dei club?
     “Sì e la mia è una constatazione, non una critica. Li abbiamo lasciati fare e fanno. Gli permettiamo di giocare con le scadenze dei contratti, secondo i loro interessi. Le società pensano che la figura del d.s. sia superata, che bastino lo scouting, i report e le statistiche. Ci ha fregato “Moneyball”, il film sui numeri nel baseball. Ma i d.s. servono, sono mediatori di sentimenti”.
     
    Sabatini, che cosa legge oggi?
     “Sono immerso in Sartre: mi sto ammazzando con “La nausea”, “Il muro”, libri altamente sconsigliabili, se si cerca il quieto vivere, libri che ti obbligano a misurare la tua ignoranza. Detesto farlo, ma devo farlo». Sarri, Sartre: «In fondo sono divisi da poche lettere”. Risata, sipario.
     

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