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  • Sampmania: #andràtuttobene?

    Sampmania: #andràtuttobene?

    • Lorenzo Montaldo
    Se permettete, io sarei un attimino stufo di arcobaleni e di #andràtuttobene. Non ne posso più di ‘vasetti della quarantena’ su Instagram, di dirette di cantanti e calciatori, di foto di torte o pizze fatte in casa. Sono saturo di beghe sulle mascherine, di date ipotizzate e lanciate nel gran calderone da cui tutti attingono ormai da mesi a casaccio. Mi innervosiscono quelli che ‘Uh guarda, i delfini in mare, i cervi a spasso per il paese, la natura si riprende i suoi spazi’, che poi magari sono gli stessi che due mesi fa lanciavano la carta del Ritter Sport sulla pista da sci. Mi manda ai matti chi inveisce contro i continui tagli perpetrati ai danni di un sistema sanitario zoppicante, ma che magari poi non sa neppure accendere il registratore di cassa. Mi faranno finire al manicomio alla pari dei delatori che, celati dietro alle tende del salotto, additano come untore il tizio che fa jogging in una strada deserta, scaricando il fallimento perpetrato dagli ultimi trentacinque anni di classe politica - e messo a nudo da un minuscolo virus - sui fuorilegge del #iorestoacasa. 

    Odio questa maniera di esprimersi via hashtag, l’incapacità di approfondire qualunque ‘notizia’ buttata sulla home di Facebook, e l’utopia di riuscire ad impedire la socialità ad una razza, quella umana, che sulla socialità ha costruito la sua evoluzione. Soprattutto, non tollero più quelli che ‘non si potrà più tornare alla normalità’, come se la normalità fosse un’eventualità, una possibilità, e non un obbligo morale e civile da ripristinare ad ogni costo il prima possibile. Della normalità fa ampiamente parte anche il calcio e la sua eventuale ripresa, è vero. Ma qui si apre un nuovo discorso che cozza con un’altra questione, quella della vita e della morte. In un’Italia utopica, i posti in terapia intensiva non sarebbero i 5.100 presenti sul territorio pre Covid, ma i 28.000 della Germania (popolazione complessiva rispettivamente 60 e 83 milioni). In questo Paese delle fiabe, probabilmente anche la ripresa della Serie A avrebbe tutto un altro sapore. Se ne potrebbe discutere, anzi, sarei pure d’accordo in linea teorica. Nella vera Italia del 2020, invece, proprio per niente.

    Non sarebbe neppure il caso di dirlo, suona persino ridicolo scriverlo, ma ripeterlo non fa mai male: tutto questo non dipende dalla posizione in classifica della Sampdoria, dallo scudetto della Juventus, dall’Atalanta in Champions League. Chi se ne frega. La cosa incredibile è che, per una volta, un grande tema di calcio riesce a mettere d’accordo (quasi) tutto lo stivale, da Nord a Sud. Le eccezioni ci sono, ovviamente, ma respirando l’aria dei tifosi, e della gente comune, credo che un eventuale referendum in merito - Dio ce ne scampi e liberi - raggiungerebbe tranquillamente il quorum. In questi giorni ho parlato anche con vecchi ultras, fanatici di calcio, gente che costruiva la sua settimana e le sue ferie in funzione della Sampdoria, e quasi tutti hanno palesato una evidente indifferenza nei confronti delle sorti del pallone. Secondo me peraltro assolutamente motivata. 

    Alle porte poi c’è il sinistro spettro di un campionato senza tifosi, in stadi vuoti e lontani dalle proprie città, processo inevitabile innescato anni fa con l’immissione della mostruosa liquidità dei diritti tv e ormai apertamente dichiarato all’interno dell famigerato ‘piano ripartenza’, votato all'unanimità, è bene ricordarlo, da tutte le squadre di Serie A. Società e Lega evidentemente ritengono plausibile ricominciare a giocare dopo due mesi di inattività, a seguito di un mini ritiro organizzato dopo un periodo di sosta persino più lungo delle vacanze estive. Peraltro al termine di una sfilza impressionante di contagi tra gli sportivi pallonari, con calciatori impauriti e in alcuni casi pure debilitati dalla convalescenza. Evidentemente, l’impossibile ritorno alla normalità è un po’ più plausibile se oliato dai 4,7 miliardi di fatturato (di cui 1,2 miliardi al Fisco) generati dal sistema calcio in Italia. E pazienza se lo spettacolo restituito in cambio agli appassionati (?) sui divani sarà solo una rappresentazione sbiadita di quella che una volta era la Serie A. Uefa e Lega sono d’accordo, vuoi mettere? Certo, c’è anche chi fa notare la gran quantità di ‘addetti ai lavori’ che gravitano attorno al mondo del pallone, sbrodolando numeri: ritengo sia necessario preoccuparsi anche per loro, è fuori di dubbio, alla stregua di come si dovrebbe fare ad esempio per chi dipende dalla ristorazione, ai servizi di intrattenimento, o al turismo. Vogliamo fare una stima anche di questo segmento? Ho come il sospetto che sia un po’ più vasto, rispetto al mondo calcio.

    Ah, a proposito: c’è anche un altro piccolissimo dettaglio di cui tenere conto, oltre alle difficoltà logistiche, organizzative, legali e burocratiche. Che cosa succederà di fronte al primo caso di contagio tra calciatori? Compagni e avversari del turno precedente in quarantena, e giornata già in programma rinviata a Ferragosto? Stai a vedere che il Gotha del calcio adesso è composto da inguaribili ottimisti. Forse loro credono davvero che #andràtuttobene.

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