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  • Sampmania: c'è ancora speranza
Sampmania: c'è ancora speranza

Sampmania: c'è ancora speranza

  • Lorenzo Montaldo
Non sono uno troppo emotivo. Di cose che mi scivolano addosso ne esistono parecchie. Difficile trovare qualcosa in grado di smuovermi, in particolare nel calcio. E onestamente da qualche anno la Sampdoria, questa Sampdoria, ci riesce poco o niente. Delle volte, confesso, non mi sono sentito neppure orgoglioso di parlare di determinati argomenti legati volenti e, soprattutto, nolenti all'universo blucerchiato. Anzi, martedì sera in una chat con amici, grandi professionisti ma prima di ogni cosa tifosi, stavo giusto ribadendo la mia diffusa sensazione di appiattimento, dovuta alla deriva generale del pallone, certo, ma pure alle situazioni contingenti connessi al pianeta della squadra genovese.

Immaginatevi la mia sorpresa quando ieri, per alcune ore, ho recuperato questo orgoglio e questa passione. Il tempo di una diapositiva, di una foto, un flash. Non mi ritengo un sentimentale, non troppo perlomeno. In giro per Genova, però, il 19 maggio 2021 si avvertiva qualcosa di diverso. C'erano più bandiere, più persone per strada con la maglia della Sampdoria, più padri e madri con figli bardati di tutto punto. Come se la partita fosse appena finita e stessero rientrando in quel momento dal Ferraris. Notare con quanta facilità il ricordo di un frangente storico sia tornato a riunire tutta la tifoseria , autoalimentandosi alla stregua di un'onda, mi ha risollevato. I social hanno fatto da cassa di risonanza. Hanno amplificato le prime immagini, le hanno replicate, spingendo altri a riprenderle. Le scene dei tifosi davanti al Bar Roma, il luogo dove l'Unione Calcio è nata, mi hanno dato la mazzata finale. Quella sì, è stata una manifestazione spontanea, popolare, vera e sentita.

Nel frattempo, ho pensato bene di aggiungere il carico da novanta. Ho scelto proprio il 19 maggio per leggere, anzi, divorare il libro di Vialli e Mancini. Forse a causa dell'atmosfera, o forse dell'autosuggestione, per alcuni istanti mi è sembrato di esserci per davvero, nel 1991. Ogni volta che alzavo gli occhi dallo scritto, per qualche secondo, il mio cervello restava collegato alla storia. Come quando ti svegli all'improvviso e non ti rendi conto se stai ancora sognando, oppure se quella attorno a te è la realtà. Per alcuni struggenti, dolorosi attimi, posato il volume, ero convinto di scendere a De Ferrari e trovare davvero la festa, i clacson, le sciarpe, le bandiere, e la rassicurante atmosfera da anni '90, quella che sa di bar di paese, cemento e ghiaccioli confezionati.

Gli scritti e i ricordi di giornalisti e scrittori già in pista all'epoca, molto più bravi del sottoscritto, hanno fatto il resto. A Genova ho deciso di andarci davvero. Ad aspettarmi a De Ferrari c'era solo la fontana, semideserta, in pieno stile pandemia. I colori però erano diversi dal solito. Sembrava quei film di fantascienza, quando il protagonista apre gli occhi, trova dei rimandi al mondo onirico nella realtà e non capisce se davvero stava sognando.

L'ultimo regalo Vialli, Mancini, Boskov e Mantovani a me lo hanno fatto ieri, a distanza di 30 anni. Mi hanno restituito un briciolo di speranza, mi hanno permesso di credere che sì, esiste ancora una possibilità, lontana, di ricostruire dalle macerie, e di recuperare qualcosa di ciò che è stato. Non va soffocata, questa lucina, servono fatica, cura e, soprattutto, delicatezza. Sapete cosa può ucciderla, invece? Le urla, le cafonate, le guerre, i tifosi a pagamento, le patenti di tifo e la Gestapo dello spirito critico. Ecco, questo vorrebbe dire, buttare nella spazzatura 'La nostra favola', e riempirsene la bocca senza neppure capire cosa si stia davvero gustando.

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