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  • Sampmania: l'avvocato del diavolo

    Sampmania: l'avvocato del diavolo

    • Lorenzo Montaldo
    Tre gol dall’Atalanta, da questa Atalanta, li metti in conto. Anche se la Dea scesa al Ferraris era tutt’altro che sbrilluccicante e abbacinante. Però, da una squadra con in panchina Muriel, Ilicic e Miranchuk, puoi pure accettarli. ‘Vostro onore - rimaniamo in tema di Tribunali, va - il mio cliente ha parecchie attenuanti’, argomenterebbe l’ipotetico avvocato del diavolo, o meglio, di D’Aversa. Persino con parziale ragione. 

    Alla Samp, ieri, mancavano praticamente tutti i giocatori più difficili da rimpiazzare. Non c’era l’unico esterno mancino di ruolo, Damsgaard, e  neppure il suo sostituto adattato, ossia Verre. Il centrocampista titolare Ekdal ha dovuto lasciare il campo allo spaurito e inadatto Askildsen, e i due terzini inamovibili (ed affidabili), ossia Bereszynski ed Augello, costretti ad abbandonare la nave, causa squalifiche e motivi personali più che valide, hanno ceduto la maglia ad un sorprendente Dragusin e ad un insufficiente Murru. Logico che l’impianto di gioco risenta di un mercato incompleto, raffazzonato e condotto di nuovo al di sotto della sufficienza, nonostante le fanfaronate di alcuni aedi, pronti a glorificare l’inglorificabile, capaci di far passare la neve per fuoco freddo. Specie quando la coperta si accorcia. A furia di tagliare, i piedi o il naso restano fuori.

    Però, qualcosa di più D’Aversa avrebbe potuto fare.  Senza dubbio. “Obiezione, Vostro Onore”, replicherebbe di certo il difensore. “Con il materiale a sua disposizione, questo è quanto si può ottenere”. Vero, ma fino ad un certo punto. Io personalmente credo che le responsabilità vadano ascritte al 50% al tecnico, e al 50% alla squadra. Ovvio, si tratta di una considerazione palesemente legata solo al campo, perché è evidente che la prima causa debba essere ricercata in chi questa rosa l’ha costruita, assumendosene anche gli onori e, di conseguenza, gli oneri. Ma rimanendo alla partita, o più in generale al momento blucerchiato. Suddividerei in maniera equa le imputazioni. Anzi, facciamo così: 40% squadra, 40% allenatore e 20% alla sfortuna, che un suo peso ce l’ha.

    Gli errori individuali e le incertezze sono evidenti, a partire dalla papera di Audero, propiziata da una goffa deviazione di Askildsen, passando per la poca lucidità sottoporta, per la condizione atletica non sufficiente in alcuni elementi, per arrivare alle lacune tecniche di parecchi elementi in rosa. Tutto giusto, e tutto vero. Però anche l’organizzazione data o meglio, non data da D’Aversa alla Samp spaventa. Tralasciamo i cambi, concentriamoci ad esempio sulla disposizione in campo. Oggi, dal 25’ del primo tempo in poi, era difficile, se non impossibile, capire quale fosse lo schieramento della Samp. La linea difensiva a quattro si intravedeva, ma dalla cintola in su la Samp era un guazzabuglio di distanze sbagliate tra i giocatori, di pedine che si pestavano i piedi tra loro, di esterni che stringevano in mezzo al campo e di attaccanti costretti a vagare sulla trequarti in cerca di spazi e collocazioni ottimali. Nel finale, poi, la situazione si è complicata ancora di più. Difesa a tre, poi a quattro, Colley ammonito spostato terzino sinistro ad affrontare Zappacosta e Ilicic, l’inserimento di Ciervo a fare il tornante a tutta fascia, l’ingresso in campo di Torregrossa e Ekdal sperando in una spizzata, una botta di fortuna, una deviazione: tutti elementi che esplicano, meglio di qualunque parola, il concetto di confusione.

    Ecco, il termine chiave è questo, ‘confusione’. La Sampdoria odierna ne è pervasa, a tutti i livelli, e in una situazione così intricata perdere la bussola è facilissimo. E’ da oltre un mese che il Doria non gioca bene. Ripensate alle ultime sei giornate: Napoli, Juventus, Udinese, Cagliari, Spezia, Atalanta. Tre partite difficili, e tre abbordabili, affrontate tutte allo stesso modo, cioè male, e unite dal medesimo filo conduttore. E’ dal 19 settembre, Empoli-Samp 0-3, che i blucerchiati non propongono e non difendono, non creano e non giustificano un’eventuale supremazia. E le responsabilità di ciò non possono essere ascritte soltanto ad una componente dell’ambiente.

    D’Aversa non lo ritengo un allenatore fenomenale. Ero scettico al suo arrivo, credevo di dover fare un mea culpa dopo un buon inizio e una proposta calcistica settembrina per certi versi sorprendente, ma il mio giudizio in seguito si è per forza di cose ridimensionato. Però, riterrei un suo esonero dannoso e, forse, pure ingiusto. Dannoso perché non vedo a spasso sostituti in un range di prezzo abbordabile per Ferrero capaci di fare meglio di lui,  al limite ce n’è qualcuno in grado di garantire un andamento più o meno simile, e ingiusto perché merita almeno la possibilità di dimostrare l’applicabilità delle sue idee con una rosa appena appena più profonda e variegata. Non voglio fare io l’avvocato del diavolo, pardon, di D’Aversa, ma alcune parti della sua arringa non sono così campate in aria. Per lo meno, auguriamocelo di cuore.

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