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  • Così affonda il calcio italiano

    Così affonda il calcio italiano

    • Pippo Russo
    Ci siamo appena messi alle spalle la domenica del derby romano giocato davanti a spalti quasi deserti. Non il primo, e forse nemmeno l’ultimo, ciò che è l’ennesima dimostrazione di come un patrimonio di passione popolare sia stato in Italia sperperato in modo forse irrimediabile. E intanto che l’emorragia di presenze allo stadio prosegue, giungono segnali che rafforzano la tendenza verso la mortificazione della passione alimentata dai tifosi. In questa tendenza rientra la mail che mi è stata girata lo scorso fine settimana da un amico affiliato a un Toro Club, dalla quale si ricava una volta di più come il tifo sia ormai diventato un percorso a ostacoli, soggetto a esperimenti sempre più spinti di controllo sociale.

    Il laconico messaggio è stato inviato dall’indirizzo mail Toro Clubs, cioè la sezione della società granata dedicata alla cura dei rapporti con le associazioni del tifo granata. Ai responsabili di ogni Toro Club è stato comunicato che, in ottemperanza alle modifiche dell’articolo 12 del Codice di Giustizia Sportiva (CGS), tocca loro comunicare che fra i loro tesserati non vi sia alcuna persona sottoposta a misure restrittive, cioè Daspo. Perché nel caso fosse presente anche un solo “daspato” nel club, quest’ultimo si vedrebbe revocare l’affiliazione e la convenzione col Torino FC. Allegati alla mail ci sono un modulo in cui trascrivere i nominativi degli affiliati ai singoli Toro Club, e una dichiarazione in cui lo stesso club garantisce di non avere al proprio interno persone sottoposte a misure restrittive e d’impegnarsi a revocare il tesseramento di quelle che dovessero subirne una da lì in avanti. I dati devono essere trasmessi entro il 15 di questo mese. Se non è una schedatura, poco ci manca. Con in più la sgradevole sensazione che il Daspo diventi una super-sanzione, con capacità di estendere i propri effetti ben oltre il perimetro per il quale è stata pensata.

    L’articolo del CGS cui si fa riferimento è quello intitolato “Prevenzione di fatti violenti”, e ha come obiettivo la disciplina dei rapporti fra i club e le loro tifoserie, con particolare attenzione alle frange ultras. L’intenzione della norma è quella di rendere impossibile ogni rapporto fra il club e i gruppi violenti del tifo. E per raggiungere questo intento sono stati fissati divieti al comportamento dei calciatori che sanno di iper-controllo. Come, per esempio, il divieto “di avere interlocuzione coi tifosi durante le gare”, che in linea di principio rischia d’impedire ai calciatori di festeggiare un gol ai piedi della curva. L’ultimo capoverso dell’articolo 12 fa divieto ai tesserati di intrattenere rapporti con sostenitori appartenenti a organizzazioni non convenzionate con la società calcistica.

    È in questo quadro che si inserisce il messaggio ricevuto dai Toro Club. I quali si trovano fatto obbligo di non avere nei propri ranghi persone destinatarie di Daspo o di cacciarle qualora dovesse accadere. Il che è un eccesso. Si può essere colpiti da Daspo per diversi motivi. In molti casi perché lo si è meritato, ma non sono infrequenti le circostanze in cui il provvedimento restrittivo colpisce nel mucchio e coinvolge persone che non hanno commesso atti violenti. Queste ultime, oltre a subire una limitazione della libertà personale, dovrebbero persino essere isolate dai club cui sono affiliate vedendosi negare un elementare diritto della persona quale il diritto d’associazione. E i club sono costretti a cacciarle per non vedersi revocare la convenzione con la società calcistica. Una palese forzatura.

    Si lasci al singolo club di tifosi la decisione di cacciare o meno un affiliato. E qualora esistessero dei club inquinati, che sono essi stessi un problema indipendentemente dalla qualità dei loro tesserati, allora sarà compito della società calcistica revocare loro la convenzione. Ma obbligare un club di tifosi di cacciare una persona fatta oggetto di provvedimento restrittivo è cosa odiosa. Specie se si pensa che c’è un CT della nazionale ben saldo al suo posto nonostante sia sotto processo per calcioscommesse, o un ex amministratore delegato del Parma che ha bellamente ritrovato un posto da dirigente in un altro club nonostante il mega-fallimento in cui è stato coinvolto. L’inflessibilità deve essere uguale per tutti.

    @pippoevai

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