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  • Timossi: Milan, stadio e vecchie idee

    Timossi: Milan, stadio e vecchie idee

    Ci vorrebbe un’idea, un’idea nuova. Il problema è che di novità non se ne vedono, non in Italia. Non nel Paese, nella sua politica, nel “renzismo” d’attesa, incapace pure di dire qualcosa di sinistra sulla Grecia, sulla rivoluzione pacifica di Tsipras, sulla voglia di libertà di un popolo. Perché si è liberi anche quando si ha una dignità lavorativa ed economica.

    Ci vorrebbe un’idea e invece no, figuratevi se le novità riescono a farsi largo nello sport nazionale, il calcio. Prendete questa storia dei nuovi stadi.  Non ne facciamo una questione ideologica, anche se si potrebbe. Prendete la città dove vivo: i tifosi del Genoa uno stadio nuovo non lo vorranno mai e la stessa cosa vale per molti tifosi della Sampdoria, che al “Ferraris” hanno festeggiato il loro scudetto, le vittorie della Sampd’oro. Beh è un loro diritto e comunque occhio e croce passerà ancora parecchio tempo prima che il progetto di un nuovo stadio, in particolare quello blucerchiato, prenda il volo.

    Però si può cambiare città, andare nella Milano dell’Expo e dei suoi scandali cantierati, in una delle città che nell’ultimo Ventennio si è bevuta le balle del Parolaio Nero, il cavaliere decaduto Silvio Berlusconi.

    Eccolo, non molla mai, la storia del nuovo Stadio Milan è la sua ultima canzone di successo. Vorrebbero suggerire che così, finalmente, il calcio italiano diventerà sostenibile e pure più equo, nel senso che ognuno andrà avanti con le proprie forze. Suggerire che in questo modo anche il football italiano sarà al passo con il pallone che tira, la locomotiva tedesca della Bundesliga, la Premier inglese sempre un passo avanti, la Liga spagnola che continua a vincere. E’ possibile che qualcosa del genere accada, ma non è sicuro. Al contrario: c’è la possibilità che un nuovo stadio, da solo, non metta in moto nessun circolo virtuoso, non in tutte le realtà dove verranno investiti quattrini e costruiti nuovi impianti. Intanto perché bisognerebbe capire subito una cosa: di chi saranno i soldi investiti? Certo, non saranno più dello Stato, non completamente come accadde negli sperperi di Italia 90.  E questa è comunque una buona notizia, ma sarebbe ancora meglio fare chiarezza su di chi davvero sono questi  quattrini che servono per alzare gradinate e aprire tribune che magari al loro interno avranno pure una beauty farm. Torniamo allora al Milan. Una manciata di mesi fa Adriano Galliani doveva prendere il treno, citofonare a casa Destro e chiedere a Mattia di fargli una cortesia personale, accettare di andare in prestito a rinforzare l’attacco di Pippo Inzaghi. E citofonare era un gesto indispensabile, perché il Milan (per stessa ammissione dei suoi dirigenti) doveva tenere i conti in equilibrio. Tradotto: non c’era più un euro. Ora ci sono i soldi per strappare tutti gli attaccanti alla concorrenza, partendo da Bacca e finendo per sognare  il ritorno di Ibra. Ci sono i soldi e tanti, milioni di milioni,  per progettare e costruire il nuovo stadio. E verrebbe così logico pensare che tutti questi soldi siano non del signor B., ma di mister B, il nuovo azionista del Milan. Sarebbe logico pensare che se il Milan è tornato ad avere le disponibilità  che un club del suo rango merita, è perché il nuovo azionista thailandese fa quello che deve fare: investe perché controlla. Invece no, ci vogliono suggerire (tutti o quasi) che mister B mette i quattrini perché è un meraviglioso filantropo, capace di regalare un nuovo stadio al Milan di Berlusconi, donandogli prima una squadra meravigliosa che in quello stadio farà poi meraviglie.

    Perché il messaggio non abbia sbavature, perché la storia regga fino alla fine, ci sono decine di nuovi stratagemmi. L’ultimo, mi hanno spiegato, si chiama “protocollo C”. Che roba è? E’ un’interpretazione particolarmente restrittiva degli accordi tra Infront e le società che il colosso dei diritti tv paga e dunque gestisce. Il protocollo C ha permesso che solo la tv di famiglia potesse riprendere la presentazione del nuovo allenatore milanista, Sinisa Mihajlovic.  Le altre tv no, niente diritti. Niente immagini girate direttamente. Quindi niente relative domande, niente obiettivi delle telecamere a far da testimone.  Per i non aventi diritti solo immagini concesse, stralci selezionati come più gradisce il padrone di casa. Messa così sarà pure difficile fare domande, magari anche sgradite, sul futuro del nuovo stadio. Un tema tanto caro a Berlusconi e certo non indifferente ai signori cinesi di Infront, che hanno pur sempre il loro core business nel ramo delle grandi speculazioni edilizie.  Niente, c’è il protocollo C e tutto potrà essere “classificato”, gestito.

    Peccato, perché oggi senza tutti questi graziosi stratagemmi, si potrebbe gentilmente mettere una telecamera davanti al volto di Berlusconi o Galliani e chiedergli una cosa, non una qualunque. Per esempio perché hanno appena ribadito che il nuovo Milan sarà costruito con i migliori giovani italiani. Lo hanno detto, hanno comprato il colombiano Carlos Arturo Bacca, sognano il “matusa” svedese Ibra e hanno venduto al Monaco un certo Stephan El Shaarawy, anni 22, comunque uno dei talenti veri sui quali l’Italia del ct Conte spera ancora. Spiegheranno che l’hanno ceduto perché il suo talento non si poteva più aspettare. Non è un’idea nuova: non aspettare che i giovani maturino è un vecchio vizio del calcio italiano. Prima del protocollo C e dello stadio milanista in zona Fiera, quando il Parolaio (Rosso)Nero aveva già iniziato a cantarle agli italiani, milanisti compresi. 

    Giampiero Timossi
     

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