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  • Totti e l'addio che fece commuovere il mondo. Tranne Spalletti e Pallotta

    Totti e l'addio che fece commuovere il mondo. Tranne Spalletti e Pallotta

    • Angelo Taglieri
    Cosa è rimasto? La maglia numero 10, quella sicuramente. Più nessuno l'ha indossata e, per un po' di tempo almeno, così resterà. Non solo quello, però, sarebbe superfluo. E' rimasto l'amore, reciproco, di una città per il suo figlio prediletto e di quel Pupo, diventato Capitano, per mamma Roma, che lo ha accompagnato nella strada che ha portato alla gloria. Tre anni fa si ritirava Francesco Totti, tra applausi, ricordi e lacrime. Tante lacrime. Di chi raccontava al microfono quel momento, di chi lo ha tifato per una vita, di chi cercava di descrivere quello che stava accadendo. E anche di chi, di calcio, non ne ha mai capito niente. 

    'MA QUESTO...' - Come il premier canadese, per esempio. L'Olimpico pieno domenica 28 maggio 2017, l'Olimpico vuoto un anonimo lunedì 29 maggio. Lì, sulla pista dello stadio che ha fermato il mondo del pallone il giorno prima, cammina Justin Trudeau, premier canadese, a Roma per un evento benefico, con la maglia di Totti indosso. Lui, Trudeau, che di calcio conosceva ben poco, rivelò a Malagò di essere rimasto molto colpito dal saluto del popolo romanista al proprio capitano: "Ma questo è lo stadio dove ieri c'è stata quella scena pazzesca?". Esatto, proprio quello. 

    FREDDI - Tutti in lacrime, ho scritto. Ma non è del tutto corretto. Luciano Spalletti e James Pallotta, agli occhi del mondo, non hanno pianto. Freddi, lucidi, razionali, hanno pensato al futuro del club e non al cuore del club, tagliare con il presente che per loro si è fatto passato, quando quel presente si sentiva ancora futuro, e non smette mai di ripeterlo: "Sarei stato ancora utile, avrei fatto ancora la differenza. Qualche minuto potrei giocarlo pure ora...". Del resto, Totti, è l'uomo che anche oggi, a Roma, riempie i contorni dei campi a 8 di pubblico e il prato verde, sintetico, di magie. 

    LA GIOIA FA PARECCHIO RUMORE - Nel suo bellissimo libro, La gioia fa parecchio rumore, dove si capisce appieno cosa vuol dire essere tifoso della Roma, Sandro Bonvissuto scrive: "La Roma ci faceva essere campioni per un po', e poi di nuovo uomini mortali, ci elevava solo per farci cadere da ancora più in alto. Sembrava una parodia del vincere invece era amore, quella continua prova da amore che ci chiedeva lei, che non voleva essere amata perché vinceva: voleva essere amata e basta". Come Totti, che non ha scelto la strada semplice per arrivare alla vittoria, magari andando al Real Madrid, dove sicuramente avrebbe reso più ricca la sua bacheca, ma omologandosi in campione tra i campioni, optando per quella complicata. Scendere, salire, fermarsi sul più bello, irregolare, ma che lo ha portato dritto dritto verso l'amore di Roma. Unico. Irripetibile, con un binomio città-calciatore (ripeto, città-calciatore, no squadra-calciatori) che non si è mai visto. E difficilmente si vedrà di nuovo. Perché se è vero che "la tristezza è muta", e quella delle sconfitte è così, "ma la gioia fa parecchio rumore", a Roma, che se la giri si legge Amor, sanno capovolgere anche la tristezza, capace davvero di far rumore: lo scroscio di mani che applaudono, la commozione di nasi che aspirano nel pianto, il goccio di una lacrima che cade. ​Per l'addio all'ultimo vero Re di Roma.

    @AngeTaglieri88

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