Menez riparte dalla Reggina, nella speranza che questa volta abbia voglia
Il regalo che Reggio Calabria si è fatta per la conquista della Serie B è un uomo di 33 anni che torna in Italia dopo 4 anni e dopo averne combinate di tutti i colori in giro per il mondo. E’ un calciatore «antico», fuori catalogo, un ribelle - dentro e fuori il perimetro di gioco - che si può assimilare a certi anarchici degli anni ’70, da Zigoni a Vendrame, gente insofferente alle regole. E’ un predestinato, a 16 debuttava in Ligue 1 col Sochaux, prima si era messo nei guai - è cresciuto nella banlieu 94 di Parigi - con le compagnie che frequentava: botte per strada (ha una cicatrice in testa che glielo ricorda), piccoli furti, un’adolescenza sbandata e salvata dal calcio.
— Reggina 1914 (@Reggina_1914) June 23, 2020
Tecnicamente Menez è (era?) un calciatore capace di tutto e del contrario. Per capirci: nel torneo cadetto del prossimo anno può segnare 15-18 gol; oppure può mandare tutti a scopare il mare e andarsene dalla Calabria dopo due mesi. A fregarlo è la presunzione, che deraglia spesso nell’indolenza. E poi la poca adattabilità alla vita di gruppo. E’ un cane sciolto, JM. Lo ricordiamo alla Roma (2008-2011, i suoi amici erano Totti e Mexes), tre stagioni, la miseria di 7 gol, una litigata finita sui giornali fuori da una discoteca; e - dopo una parentesi di tre anni in altalena al PSG - eccolo al Milan (2014-2016), due campionati, 43 presenze, 18 gol complessivi (16 nella sua prima stagione, la migliore, con Pippo Inzaghi in panchina: il più bello un tacco al Tardini di Parma), e un ruolo vago con cui misurarsi nel corso degli anni: attaccante di sinistra, poi di destra, centravanti di movimento, trequartista con una punta di riferimento davanti. Era il suo pregio, si è rivelato il suo limite.
Dalla sua ultima volta in Italia ad oggi JM si è perso tra allenamenti saltati nei pochi mesi in Turchia all’Antalyaspor e una condotta da «bimbo-minchia» nella sua esperienza messicana, al Club America. Festini a base di sesso e droga, frequentazioni poco raccomandabili (non parliamo di escort, ma di brutti ceffi usi alla criminalità). Quando è esploso - al Sochaux - sembrava davvero un fuori categoria. A Roma lo chiamavano «Mago Houdini», per la sua abilità nel «nascondere» il pallone agli avversari. A 16 anni Alex Ferguson si era interessato a lui: lo voleva al Manchester Utd. Disse di no, perché - dimostrando una sorprendente saggezza - aveva bisogno di crescere e formarsi in un ambiente che conosceva.
Il post su Instagram con cui ha annunciato il suo passaggio alla Reggina - “Sud, j’arrive” - dice molto di un ragazzo che balla pericolosamente sul confine tra l’essere idolatrato dopo due palleggi o il venire sbertucciato da quegli stessi tifosi che oggi lo attendono con entusiasmo. In Francia - ha vestito 24 volte la maglia della nazionale dal 2010 al 2013 - non ha una grande reputazione. I nostri colleghi d’Oltralpe lo considerano un Balotelli francese. Le stesse bizze, la stessa supponenza, la stessa incompiutezza nonostante mezzi tecnici da top-class. La sua parabola è la stessa di alcuni suoi compagni - Nasri e Ben Arfa per citare i casi più significativi - che quindici anni fa sembravano pronti per prendersi il mondo e poi si sono dimenticati la password. JM è un Goetze che non ha vinto il Mondiale, un Quaresma senza il colpo (la Trivela) che l’ha reso celebre. Uno che chissà cosa avrebbe fatto se solo ne avesse avuto voglia.