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  • 'Vittoria Choc': americani e inglesi accusano Jacobs di doping. Le risposte di Malagò e Schwazer: 'Sospetti tristi'

    'Vittoria Choc': americani e inglesi accusano Jacobs di doping. Le risposte di Malagò e Schwazer: 'Sospetti tristi'

    • Andrea Barbuti
    Quella di domenica scorsa è stata la giornata più incredibile della storia dello sport italiano, con l’oro di Tamberi (che poteva anche in un certo senso essere atteso) e quello assolutamente imprevisto di Lamont Marcell Jacobs. Il fatto che un italiano sia l’uomo più veloce del mondo è qualcosa di così incredibile che facciamo ancora fatica a crederci. Chi, invece, non riesce proprio a spiegarselo sono americani e inglesi, che hanno visto sfumare, in meno di 10 secondi, rispettivamente primato olimpico e podio e record europeo. Così, il giorno dopo, quello in cui si realizza veramente quello che è successo, da Stati Uniti e Gran Bretagna arrivano i sospetti, anche conditi da una subdola ironia tipicamente anglosassone, di doping.

    LE ACCUSE - “Vittoria shock di Jacobs” titolano all’unisono Guardian, Washington Post e Times; “Dal nulla al trono di Bolt”, scrive invece il Boston Globe, che ricorda anche come “nessuno dei suoi rivali conoscesse il nuovo campione olimpico”, a partire dal secondo classificato, lo statunitense Kerley (che però era un quattrocentista prima di queste Olimpiadi, come ricorda il Corriere). I suoi miglioramenti sono così improvvisi da risultare sospetti, scrive il Post. La colpa, però, non è tanto del nostro corridore a cui "va dato il beneficio del dubbio”, quanto del movimento dell’atletica mondiale, “disseminato di campioni pop-up rivelatisi imbroglioni col doping. Non è colpa sua se la storia dell'atletica leggera fa sospettare per i miglioramenti così improvvisi e così enormi”. D’altronde, scrive il Times, 32 delle ultime 36 migliori prestazioni mondiali sui 100 metri (escluse ovviamente quelle di Bolt) sono state realizzate da velocisti risultati poi positivi, quasi tutti statunitensi, ricordiamo noi.

    LE RISPOSTE - Dall’Italia le risposte non si sono fatte attendere. Jacobs non se n’è ancora curato, come direbbe Dante, e continua a festeggiare un risultato storico. A difenderlo ci hanno pensato però Alex Schwazer (ultima medaglia d’oro italiana alle olimpiadi di atletica, con una carriera poi rovinata dalle reiterate accuse, rivelatesi poi infondate, di doping) e Stefano Mei (anche lui ex mezzofondista ed ora presidente della federazione italiana di atletica leggera). “Quando uno va forte escono sempre queste storie messe in giro da parte di alcuni invidiosi. Sembra che quasi ci si debba scusare di essere andato così veloce. Queste accuse velate che ho letto sono molto tristi ma per fortuna lasciano il tempo che trovano. Marcell ha scritto la storia dello sport italiano, si deve godere il momento" ha dichiarato l’altoatesino ad Adnkronos. "Sospetti miserabili", ha invece commentato, molto più lapidario, Mei. Freschissime sono infine le dichiarazioni di Giovanni Malagò, presidente del CONI: “Le considerazioni di alcuni vostri colleghi sono veramente fonte di grande dispiacere e anche imbarazzo sotto tutti i punti di vista. Dispiace che qualcuno dimostri di non saper accettare la sconfitta. Oggi ha risposto bene Paolo Camossi, allenatore di Marcell. Parliamo di atleti che vengono sottoposti quotidianamente ai controlli antidoping e quando fanno un record tutto si raddoppia. Il numero dei test è impressionante. Per questo la mia è una difesa a spada tratta di Marcell”.

    È stata un’estate folle per l’Italia, che nel giro di tre settimane è salita sul tetto dell’Europa calcistica, battendo gli inglesi a casa loro, e raggiunto il prestigiosissimo oro olimpico nella disciplina regina, davanti ad uno statunitense. La mancanza di sportività degli inglesi dopo la sconfitta di Wembley non c’è bisogno di ricordarla, ci pensano loro quasi ogni giorno. Gli americani, invece, dopo il tentativo fallimentare di appropriarsi della nazionalità del nostro campione olimpico, sono passati all’attacco, subito spalleggiati anche dai cugini britannici. D’altronde, buon sangue non mente: a perdere non ce la fanno proprio.
     

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