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Campioni di... vini: Brady è Cabernet Sauvignon di Inglenook

Campioni di... vini: Brady è Cabernet Sauvignon di Inglenook

Derogando dal cliché classico di questa rubrica, il paragone enologico di questa settimana non riguarda un calciatore (sebbene l’ultima giornata di campionato abbia fornito spunti notevoli, in tal senso…) ma un giocatore di football americano, un quarterback. Anzi, IL quarterback.
Thomas Edward Patrick Brady Jr., per tutti Tom, è diventato il terzo qb, nella storia dell’NFL, ad aver vinto 4 Super Bowl. E’ in ottima compagnia, visto che prima di lui c’erano riusciti soltanto Terry Bradshaw, che li conquistò tra il 1975 e il 1980 con i Pittsburgh Steelers e Joe Montana, che guidò il San Francisco 49ers tra il 1982 e il 1990. Due miti, ai quali se ne aggiunge un terzo. Come se un collezionista di vini, non pago di avere nella propria enoteca un Mouton Rothschild e uno Chateau Lafite, si regalasse anche uno Chateau Margaux
Brady, in realtà, non è uno Chateau Margaux, ma un Cabernet Sauvignon di Inglenook, prodotto eccezionale proveniente dalla Napa Valley (che dista solo 120 km da San Mateo, la città natale di Brady, californiano doc – appunto…). Rosso rubino intenso, quasi impenetrabile, naso complesso di piccoli frutti rossi e fiori di acacia, un sentore lontano di caffè tostato che ritrovi alla fine di un sorso morbido ed avvolgente, come uno schema d’attacco chiamato da Brady, uno della centinaia studiati e imparati grazie ad una memoria prodigiosa.
Inglenook, fondata nel 1879, è una delle aziende vinicole più antiche degli Stati Uniti (come i New England Patriots, la squadra di Brady), che dopo un periodo di difficoltà, sta tornando agli antichi fasti grazie a Francis Ford Coppola, che la acquistò nel 1975 con i guadagni de “Il Padrino”.
Come Coppola per Inglenook, anche Brady è stato la fortuna dei Patriots: nel 2000 fu scelto al sesto giro del draft, con il numero 199, quando praticamente erano rimasti solo gli scarti. Il suo primo allenatore, Tom Mackenzie, non avrenne scommesso un dollaro su di lui: “Le sue tre sorelle maggiori – disse una volta – erano infinitamente più dotate di lui”. All’epoca, insomma, nessuno poteva immaginare quello che sarebbe diventato. Nessuno, tranne lui. In ritiro, dopo il secondo allenamento, mentre tornava in hotel incontrò Bob Kraft, proprietario e presidente della franchigia. Fece per presentarsi, ma Kraft lo prevenne: “Ti conosco, ragazzo: Michigan College, sesto giro”. Brady, con la faccia da bravo ragazzo della porta accanto che si ritrova, lo fissò e rispose: “Vorrei soltanto che lei sapesse che io sono il miglior affare che i Patriots abbiano mai fatto”.
Come Inglenook per Coppola, appunto. Eppure c’è stato un tempo in cui Tom Brady era “solo” un giocatore di football. Fino al 2006, quando incontrò Gisele Bundchen. Da quel momento, pur avendo già vinto tre Super Bowl, pur essendo già adulato da tutta Boston (amato no, perché da quelle parti tutto ciò che è eccessivo ricorda New York, e non va bene…), è cambiato tutto. In meglio. Da quel natale di 9 anni fa la famiglia Brady è entrata stabilmente nelle classifiche di Forbes sulle coppie più influenti del pianeta (l’anno scorso erano al numero 10, davanti ai Clinton per dire) e su quelle che guadagnano di più (nel 2014 80 milioni di dollari, dietro Beyoncé e Jay-Z), ha traslocato in una reggia di quasi 1500 metri quadri a Brookline, il più celebre tra i sobborghi di Boston, e ha acquistato un appartamento da 14 milioni a New York, forse per essere più vicini al Met Gala, l’evento più glamour di New York, organizzato ogni anno per 700 invitati da Anne Wintour, la super-direttrice di Vogue.
Non tutti i vini, insomma, per tornare all’origine del paragone, diventano grandi vini, e non tutti i grandi vini diventano capolavori. A volte, però, come nel caso di Brady, succede. E il risultato è (quasi sempre) straordinario.      

Valerio Iafrate

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