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  • Ibrahimovic patetico ed egoista, non è Rivera: perché il Milan gli ha rinnovato il contratto?

    Ibrahimovic patetico ed egoista, non è Rivera: perché il Milan gli ha rinnovato il contratto?

    • Alberto Cerruti
      Alberto Cerruti
    Dopo la pericolosa frenata contro la Cremonese, esiste soltanto una certezza pensando allo sprint finale del Milan: Zlatan Ibrahimovic non potrà aiutare la squadra ad arrivare almeno al quarto posto in campionato, né tantomeno a superare la semifinale di Champions. Basterebbe quest’ultima constatazione, nei giorni che precedono il doppio derby europeo, per bocciare con i fatti, e non soltanto con le parole, il rinnovo del suo contratto l’estate scorsa, che tra l’altro ha tolto il posto a altro attaccante rimpianto anche mercoledì sera come alternativa al deludente Origi. Convinti che bastassero Giroud e il belga in campionato, Maldini e Pioli speravamo di poter contare sul carisma e sull’esperienza dello svedese soprattutto in Champions League, perché l’obiettivo era la qualificazione agli ottavi di finale.

    MILAN, IL FIGLIO DI IBRAHIMOVIC PUO' ANDARE AL NOVARA 

    Ibrahimovic, infatti, è stato operato poco meno di un anno fa, il 25 maggio 2022, quando gli è stato ricostruito il legamento crociato anteriore del ginocchio destro per cui, secondo le previsioni dei medici, sarebbe stato in grado di tornare in campo dopo otto mesi, a fine gennaio. Secondo i programmi, Ibrahimovic avrebbe rappresentato il valore aggiunto negli ottavi di finale, la cui gara d’andata era in programma il 14 febbraio contro il Tottenham. Come non detto, invece, perché oltre a saltare quella delicatissima sfida per le sue precarie condizioni fisiche, non è stato nemmeno inserito nella lista Uefa e così è stato definitivamente escluso per tutte le successive partite in Champions, eventuale finale compresa. Una sconfitta per il Milan in generale, anche se la squadra di Pioli è andata avanti ugualmente in Champions, ma soprattutto una sconfitta per lui costretto a fare lo spettatore suo malgrado.

    Come se non bastasse la sua esclusione dalla coppa più importante, Ibrahimovic è stato il grande assente anche in campionato, visto che è sceso in campo soltanto quattro volte, per 143 minuti totali, segnando appena un gol, su rigore il 18 marzo a Udine, utile per garantirgli il record di marcatore più anziano in serie A con 41 anni e 166 giorni, ma non per evitare la sconfitta (1-3) del Milan. Un bilancio fallimentare, quindi, aggravato dalla prospettiva di avere già chiuso la stagione, dopo l’ultimo infortunio accusato nel riscaldamento a bordo campo, in attesa di entrare nel finale della partita contro il Lecce, il 23 aprile scorso. La lesione al gemello mediale al polpaccio destro lascia infatti minime speranze per un suo rientro nell’ultima gara di campionato, il 4 giugno, contro il Verona. Ma anche se fosse così, rimarrebbe a tutti l’immagine di questo suo triste tramonto, che Ibrahimovic per primo ha voluto rovinare, diventando persino patetico. Sarebbe stato meglio per tutti, lui per primo, chiudere l’anno scorso con lo scudetto, invece di trascinarsi con l’illusione di continuare a giocare. Ibrahimovic, però, non la pensa così perché ha spiegato che sarebbe stato troppo facile ritirarsi dopo una vittoria. La verità, secondo una sua onesta ammissione, è che ha paura di smettere di giocare. Una dichiarazione comprensibile perché il mitico Zico, quando si ritirò, disse che soltanto i calciatori muoiono due volte: quando lasciano il campo e il mondo. Prima o poi, però, bisogna smettere perché il corpo lancia segnali che vanno raccolti.

    In questo senso, un altro campione milanista come Gianni Rivera ha dimostrato di essere grande anche nell’ora dell’addio, coinciso con lo scudetto della stella nel 1979. Frenato dagli acciacchi, neppure lui in quel campionato giocò tutte le partite accumulando soltanto tredici presenze su trenta. Subito dopo, però, chiuse da vincitore quando non aveva ancora compiuto 36 anni. Un modo elegante per lasciare nel momento migliore. Ibrahimovic, invece, telecomandato dal proprio egoismo con il colpevole avallo della società, ci sta lasciando il brutto ricordo di un campione dolorante, incapace di giocare almeno pochi minuti. Una grande occasione mancata, come la sua ultima Champions da spettatore.

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