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Icardi, un'autobiografia presuntuosa

Icardi, un'autobiografia presuntuosa

  • Marco Bernardini
I libri rappresentano un elemento vitale estremamente serio. La loro esistenza temporale supera talvolta la fama e il valore degli stessi autori. Un nome o un cognome possono anche essere confusi. Il libro no, perché rimarrà per sempre almeno in uno scaffale pubblico o domestico come testimonianza dell’intelletto umano.

Scrivere un libro, si tratti di un romanzo piuttosto che di un saggio o di un componimento i versi, non è fatica di poco conto. Ammenochè il lavoro letterario non venga ispirato dalla sola e libera fantasia, il fatto di poter tradurre i pensieri in parole e le parole in concetti che abbiano un senso compiuto comporta una potente dose di esperienza non solo lessicale ma soprattutto di vita vissuta.

Certamente esistono scrittori che ebbero la genialità necessaria, sostenuta dalla fortuna, per essere pubblicati in giovane età. Giovanni Arpino, per esempio, redasse la sua opera prima “La suora giovane” che aveva trentadue anni. Un romanzo breve subito giudicato un capolavoro che gli permise, successivamente, di fare della scrittura la sua principale professione. Alla base di questi fenomeni, c’è sempre quella che viene definita vocazione. Una qualità innata che non è in vendita da nessuna parte e che compete in particolare i romanzieri.

Altro paio di maniche per ciò che riguarda le autobiografie. Un genere piuttosto alla moda che sembra facile da poter affrontare con adeguata serietà e competenza e che, negli ultimi due o tre anni, pare essere diventato il cavallo di battaglia per un buon numeri di campioni del calcio e soprattutto di ex. Dalla scorsa primavera, infatti, nelle librerie sono usciti i pensieri di una vita, sportiva e non, scritti da autorevoli firme del pallone come Paolo Rossi, Dino Zoff, Franco Causio  e Marco Tardelli. Tutti quanti loro a raccontare, in prima persona, fatti e fatterelli e anche fattacci frutto delle loro brillanti carriere. Francamente nessuna di queste “opere” ha meritato la particolare attenzione di coloro che sono deputati a distribuire, con più o meno merito, premi letterari assortiti. Autobiografie, come dire, “leggere” che comunque possiedono un loro senso e che in ogni caso consentono di conoscere più da vicino  se non proprio intimamente personaggi certamente di culto ma anche sempre piuttosto distanti dal nostro quotidiano. A supportare le fatiche di questi campioni imprestati occasionalmente alla cultura c’è un paletto fondamentale chiamato esperienza che si traduce in vissuto.

In questa difficile e scivolosa avventura auto narrativa, probabilmente trascinato anche dalla sua spericolata compagna Wanda, si è voluto lanciare il bomber argentino dell’Inter Mauro Icardi. I risultati e le conseguenze hanno impiegato il tempo di un battito di ciglia per arrivare. Un autentico boomerang piovuto sulla testa dell’ingenuo e presuntuoso autore che, molto verosimilmente, sarà costretto a lasciare l’Inter e Milano per evitare incontri ravvicinati sgradevoli. Non voglio e non mi permetto minimamente di mettere in dubbio la buona fede del Mauro Icardi descrittore più che non scrittore di se stesso. Come ha sostenuto lui, per difendersi dalle accuse di “oltraggio” ad una certa parte di popolo nerazzurro, alcune delle sue riflessioni sono state incriminate perché mal interpretate. La verità, almeno per come la vedo io, è che sono state molto più semplicemente scritte male e in maniera maldestra su suggerimento della superficialità e della stupidità. In buona sostanza, il calciatore interista con molta presunzione ha voluto lanciarsi senza rete in un’impresa fuori dalla sua portata di competenza. Scrivere un’autobiografia richiede di possedere alle spalle un back ground consistente e solido che un ragazzo di ventitrè anni non può assolutamente possedere. L’ultimo libro dell’immenso poeta cileno Pablo Neruda dal titolo “Confesso che ho vissuto” e trabordante di esperienze autentiche venne pubblicato nel 1974, un anno dopo la sua scomparsa... Se Icardi proprio voleva dare sfogo al suo alter ego letterario avrebbe potuto scegliere di scrivere una favola per bambini o, come fece Totti, un libro di barzellette. Avrebbe potuto essere una cosa divertente e nessuno si sarebbe incazzato.
 

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