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    Il secondo tragico Tavecchio

    Il secondo tragico Tavecchio

    • Gianluca Minchiotti
    C'è qualcosa che non va nelle parole pronunciate ieri sera da Carlo Tavecchio, presidente della Figc. Non siamo d'accordo, ad esempio, quando afferma, prima del match con il Liechtenstein, che "dobbiamo pensare solo a vincere, non a umiliare l'avversario. Se arrivano tanti gol bene, ma nello sport non bisogna mai infierire su nessuno". Ora, è vero che non bisogna infierire, ma è anche vero che in un torneo in cui la differenza reti può avere un peso decisivo, segnare più gol possibili rappresenta un obbligo, non una scelta. E le facce semideluse di Ventura e degli Azzurri, nonostante il 4-0 di Vaduz, sono lì a dimostrarlo. Per chi scrive, poi, segnare più gol possibili, dare il meglio di sé stessi, rappresenta sempre un obbligo, una forma di rispetto nei confronti dell'avversario. Fermarsi, dire "potrei farti dieci gol, ma mi fermo qui", quella sì rappresenta un'umiliazione.

    Poi Tavecchio aggiunge: "Noi ambiamo al primo posto, ma non voglia il cielo che dobbiamo discutere di non arrivare al Mondiale, sarebbe una tragedia. Per questo anche il secondo posto andrebbe bene". E anche qui non ci siamo: siamo un periodo di crisi e di ricambio generazionale del nostro calcio, ma una nazionale che nella sua storia ha conquistato quattro Mondiali non può dire, in un girone di qualificazione, che "anche il secondo posto andrebbe bene". Non può dirlo anche se nello stesso girone c'è la Spagna, comunque anch'essa impegnata in un ricambio generazionale, pur dalle premesse più rosee del nostro. L'Italia, per la sua storia e la sua tradizione, e per la passione che gli italiani continuano a riservare al calcio, Nazionale inclusa, ha sempre l'obbligo di puntare al primo posto. Su una cosa, invece, siamo tutti d'accordo con Tavecchio: non qualificarsi ai Mondiali, per la seconda volta nella storia dopo il 1958, sarebbe una tragedia. Una tragedia (sportiva) epocale.

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