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  • Ma io sto con Thohir, il salvatore

    Ma io sto con Thohir, il salvatore

    • Michele Dalai
    C’è qualcosa di incomprensibile nell’interismo, qualcosa che sfugge anche agli interisti più radicali, categoria alla quale sono iscritto fin dalla nascita, giusto per chiarire le regole d’ingaggio e dichiarare le generalità.
    Da qualche giorno monta inarrestabile l’ondata di sdegno contro Thohir, responsabile secondo alcuni di non aver onorato la storia nerazzurra, di aver speculato sui destini della squadra, di essersi arricchito e di non averla resa competitiva.

    A guidare la cordata degli indignati ci sono i morattiani più morattiani di Moratti stesso, qualche spiffero proveniente dalla famiglia e molti pasticcioni dell’informazione sentimental-bugiarda che raccontano la storia di una frode, di un trono usurpato e trascurano più o meno volontariamente la vera radice del problema.

    Il 23 maggio del 2010 ci siamo svegliati tutti ebbri di un trionfo memorabile, ricchi di emozioni e finalmente capaci di riportare a casa la Coppa più importante. Merito di Massimo Moratti, di 15 anni di sofferenze e investimenti generosi, di tradimenti subiti e affrontati con grande signorilità e dell’ostinazione di chi a qualunque costo sarebbe riuscito a emulare le gesta del padre. L’Inter non è stata la squadra di Massimo Moratti, l’Inter è stata Massimo Moratti, in ogni scelta, vittoria, sconfitta, errore e tentennamento.

    Il 23 maggio del 2010 ci siamo svegliati sull’orlo di un baratro e più o meno consapevoli che nulla sarebbe più stato uguale a prima. Una società strutturata male, ruoli duplicati, inefficienze, troppi parassiti della generosità di Moratti, costi insostenibili e debito enorme garantito personalmente dal Presidente.

    Moratti è stato insieme a Silvio Berlusconi e Franco Sensi il più grande mecenate del calcio italiano inteso come calcio moderno, ha sposato il destino di una squadra e per tanto, troppo amore l’ha legato indissolubilmente al proprio portafoglio.

    Intanto il calcio è cambiato. Multinazionali, fondi, la trasformazione del contesto che in Italia abbiamo osservato come si studia un animale esotico, come una possibilità troppo lontana per poter essere presa in considerazione. Non staremo qui a scrivere la solita solfa fatta di stadi di proprietà, brand, esportazione del marchio. Ma quello è successo.

    L’Inter di Massimo Moratti era una società sull’orlo del fallimento e molto poco appetibile per potenziali investitori stranieri, il che è un paradosso considerata la recente vittoria internazionale e la popolarità di alcuni giocatori. La riduzione del monte ingaggi non è bastata e fino a due anni fa quella della catastrofe, a meno di altri gesti scriteriati e romantici di Moratti, non pareva un’ipotesi così remota.

    Poi è arrivato quel signore lì, Thohir. Deriso, trattato come un comico, insultato da alcuni colleghi (loro sì impresentabili), ha iniziato a lavorare seriamente alla radice del problema, l’indebitamento. Le tecnicalità le trovate ovunque, compresa la risibile polemica sul fatto di aver prestato denaro alla società di cui è azionista di maggioranza. Risibile perché davvero non ha senso se la si considera con lucidità. Il cambio del management, il risanamento delle procedure e l’aggressione del problema finanziario.

    Thohir non è un mecenate, fa finanza. Mica una bestemmia fare finanza nel mondo dello sport, anche se alcuni puristi convertiti negli ultimi giorni gli rimproverano una cosa che lui stesso aveva chiarito fin dal primo giorno: nessun investimento folle, prima c’è da salvare la baracca e poi cercare un grande socio, solido e in grado di trasformare l’Inter in un sistema competitivo, laddove la competizione che si cerca è con le squadre inglesi, le due spagnole e il Bayern Monaco.

    Dopo due anni accade quel che Thohir aveva preconizzato. Arriva Suning, che lui ha portato al tavolo, e arrivano gli investimenti di cui si parlò ai tempi. Che l’azienda cinese abbia intenzioni serie, che abbia un’idea credibile di sport e business è tutto da verificare, ma sarebbe da folli negare che l’operazione di Thohir sia stata un piccolo gioiello, risanamento e cessione (guadagnandoci pure parecchio).

    Questa la verità, questa la ricostruzione obiettiva al netto delle emozioni. Poi certo gli si può rimproverare di non aver vinto, di non essere riuscito a competere.

    Chi lo fa non è molto generoso e ha la memoria abbastanza corta, magari dimentica i primi 11 anni di Moratti, al netto dei veleni di Calciopoli, ma soprattutto mistifica il fatto incontrovertibile che nonostante le grandi difficoltà economiche e grazie al lavoro di Ausilio l’Inter di Mancini abbia avuto a disposizione tutti i giocatori richiesti, competendo sul mercato anche ad altissimi livelli (Kondogbia e la scelta di tenere Icardi sono stati un segno di grande risolutezza).

    La favola dell’usurpatore e del finanziere cattivo regge poco, è buona per chi non si rende conto che oggi potrebbe essere una data storica per il futuro dell’Inter e di chi finge di ignorare che quel futuro esiste anche grazie a due anni di lavoro del buffo Thohir, che tanto buffo poi non deve essere.

    L’interismo è strano perché anche in una giornata del genere, con tutte le incognite che porta, si riesce a dibattere di cose sciocche, a non capire che forse tra la meravigliosa Inter del 2010 e quella che verrà ci potrebbe essere più continuità di quanto crediamo.

    Dovessimo sbagliare, dovesse trasformarsi in un pasticcio, almeno sarà un pasticcio che si affronta senza i libri in tribunale. Amandola, ma davvero e non per leggende metropolitane e luoghi comuni.
     

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