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    PSG-Inter: Simone Inzaghi, l’ora della verità. Ma non del giudizio

    PSG-Inter: Simone Inzaghi, l’ora della verità. Ma non del giudizio

    • Massimo Callegari
      Massimo Callegari
    Rieccola, la disfida eterna tra éxito e fracaso, tra successo e fallimento, tanto cara agli spagnoli, tanto spietata quanto essenziale. Perché se non tutto si misura con un trofeo, ci sono partite e momenti che pesano (molto, moltissimo) più di altri. Simone Inzaghi lo sa. E forse è per questo che, a pochi giorni dalla finale di Champions, in modo un po’ scomposto, distante dal suo stile, ha sentito il bisogno di ricordare pubblicamente che offerte ne ha avute, eccome. Da altri club, da altri Paesi. Non per vanità, ma per affermare un principio: il suo lavoro merita considerazione, rispetto, centralità. Anche da parte di chi gli è più vicino.

    È il segnale che un po’ di pressione c’è, e si sente. Inevitabile, del resto. Per la seconda volta in tre anni l’Inter è di nuovo dove mancava da tempo. Con più possibilità di vincere rispetto a Istanbul, ma anche con il rischio di sentirsi favorita contro un avversario fortissimo come un po’ accadde, fatalmente, alla Juventus a Cardiff nel 2017. Ma è anche il manifesto pubblico di un allenatore che ha costruito con coerenza, silenzio, idee. E che chiede il riconoscimento di uno status.

    I risultati ci sono stati. In quattro anni, sei trofei. Uno Scudetto e due Coppe Italia superando nel percorso la Juventus (due volte) il Milan, la Roma, l’Atalanta. Tre Supercoppe vinte contro le tre grandi rivali di questa epoca: Juve, Milan e Napoli. Una finale di Champions giocata alla pari con il mastodontico City, un’Inter sempre competitiva in ogni manifestazione. Ha dato un gioco entusiasmante, compattezza, respiro europeo. Identità. Ha trasformato i dubbi in sistema, le transizioni societarie in opportunità di consolidamento tecnico ed economico della rosa.

    Eppure, questa stagione rischia di restare nel mezzo: bella ma imperfetta, potente ma incompleta. Perché l’Inter ha lasciato per strada qualche dettaglio, qualche centimetro, e soprattutto non ha fatto il massimo possibile nel suo percorso in campionato. Il Napoli ha affondato i suoi avversari con fame, ferocia, determinazione. L’Inter non sempre lo ha fatto, non come in Champions. In patria ha mostrato, a tratti, qualcosa di diverso: un pizzico di snobismo, una fiducia quasi eccessiva nei propri mezzi, un senso di superiorità non sempre tradotto in punti.

    Tutto questo porta al domandone finale: indipendentemente dal risultato, Monaco segnerà la fine di un ciclo? Non perché il gruppo abbia esaurito la propria energia, ma perché dopo quattro anni a livelli così alti è lecito chiedersi quanto un allenatore possa ancora incidere sugli stessi giocatori. Se possa davvero continuare a stimolarli, a pretenderne il massimo, a ottenere quella risposta che fin qui è sempre arrivata. Il volto dell’Inter cambierà, sta già cambiando: tra partenze, arrivi e nuovi equilibri da costruire, sarà una squadra diversa. E allora la vera domanda è: può sopravvivere - e rinnovarsi - anche l’alchimia tra Inzaghi e il suo spogliatoio?

    Se la risposta sarà “sì”, significherà che sia lui che il club saranno convinti di costruire un nuovo ciclo con pazienza, dedizione e tutele reciproche. Se sarà “no”, questo finale - comunque vada - non potrà che essere un commiato carico di rispetto e ammirazione. Se questa sarà davvero l’ultima notte, sarà un addio speciale. Perché Simone Inzaghi ha dato stile, visione e risultati. E perché ha portato l’Inter dove molti, a partire dal suo predecessore, non pensavano potesse tornare.

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    Tiziano Scoccia
    Tiziano Scoccia

    La verità è che se l'Inter non vince stasera è una stagione fallimentare. Non è mai capitato che...

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