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PSG-Inter: Simone Inzaghi, l’ora della verità. Ma non del giudizio
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È il segnale che un po’ di pressione c’è, e si sente. Inevitabile, del resto. Per la seconda volta in tre anni l’Inter è di nuovo dove mancava da tempo. Con più possibilità di vincere rispetto a Istanbul, ma anche con il rischio di sentirsi favorita contro un avversario fortissimo come un po’ accadde, fatalmente, alla Juventus a Cardiff nel 2017. Ma è anche il manifesto pubblico di un allenatore che ha costruito con coerenza, silenzio, idee. E che chiede il riconoscimento di uno status.
I risultati ci sono stati. In quattro anni, sei trofei. Uno Scudetto e due Coppe Italia superando nel percorso la Juventus (due volte) il Milan, la Roma, l’Atalanta. Tre Supercoppe vinte contro le tre grandi rivali di questa epoca: Juve, Milan e Napoli. Una finale di Champions giocata alla pari con il mastodontico City, un’Inter sempre competitiva in ogni manifestazione. Ha dato un gioco entusiasmante, compattezza, respiro europeo. Identità. Ha trasformato i dubbi in sistema, le transizioni societarie in opportunità di consolidamento tecnico ed economico della rosa.
Eppure, questa stagione rischia di restare nel mezzo: bella ma imperfetta, potente ma incompleta. Perché l’Inter ha lasciato per strada qualche dettaglio, qualche centimetro, e soprattutto non ha fatto il massimo possibile nel suo percorso in campionato. Il Napoli ha affondato i suoi avversari con fame, ferocia, determinazione. L’Inter non sempre lo ha fatto, non come in Champions. In patria ha mostrato, a tratti, qualcosa di diverso: un pizzico di snobismo, una fiducia quasi eccessiva nei propri mezzi, un senso di superiorità non sempre tradotto in punti.
Tutto questo porta al domandone finale: indipendentemente dal risultato, Monaco segnerà la fine di un ciclo? Non perché il gruppo abbia esaurito la propria energia, ma perché dopo quattro anni a livelli così alti è lecito chiedersi quanto un allenatore possa ancora incidere sugli stessi giocatori. Se possa davvero continuare a stimolarli, a pretenderne il massimo, a ottenere quella risposta che fin qui è sempre arrivata. Il volto dell’Inter cambierà, sta già cambiando: tra partenze, arrivi e nuovi equilibri da costruire, sarà una squadra diversa. E allora la vera domanda è: può sopravvivere - e rinnovarsi - anche l’alchimia tra Inzaghi e il suo spogliatoio?
Se la risposta sarà “sì”, significherà che sia lui che il club saranno convinti di costruire un nuovo ciclo con pazienza, dedizione e tutele reciproche. Se sarà “no”, questo finale - comunque vada - non potrà che essere un commiato carico di rispetto e ammirazione. Se questa sarà davvero l’ultima notte, sarà un addio speciale. Perché Simone Inzaghi ha dato stile, visione e risultati. E perché ha portato l’Inter dove molti, a partire dal suo predecessore, non pensavano potesse tornare.
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