
Serie A, il pagellone degli allenatori: Conte da 9, Thiago Motta 4,5. Fonseca meglio di Conceicao, Inzaghi? 6+
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Di seguito il pagellone degli allenatori della Serie A 2024/2025

GASPERINI 8
E c’è poco da discutere. L’Atalanta centra la quinta qualificazione in Champions League della sua storia; inutile ricordare chi abbia portato tutte le altre quattro e per cosa lottasse il club prima del passaggio di re Mida Gasp. Chiude ancora da terza forza del campionato, davanti a gente con più soldi, più storia, più mezzi, più pubblico. Il solito fenomeno. Ecco, unica cosa: quando perde, toglietegli di torno il microfono. Sapesse anche comunicare, allenerebbe lui il Brasile…
ITALIANO 7,5
Formalmente chiude nono, assai peggio dello scorso anno. Ma è impossibile dimenticare il fatto che insieme al campionato il Bologna abbia dovuto gestire prima la Champions e poi la Coppa Italia, vinta tra l’altro nella magica notte dell’Olimpico. Tre impegni. Una realtà nuova. La scomoda eredità della precedente stagione miracolosa. E l’etichetta fastidiosa dell’integralista che perde le finali. Tutti concetti presi e fatti a pezzetti, perché in ogni stagione - e ormai da parecchio tempo a questa parte - a prescindere da squadra e categoria Italiano fa qualcosa di buono. E ormai iniziano a essere tante le annate da applausi.
NICOLA 6,5
Si è salvato alla penultima, ma l’ha fatto sempre lasciando trasparire quella sensazione che il suo Cagliari non sia mai stato realmente nei guai. Una sorta di sensazione di controllo su tutte quelle che intorno agli Isolani hanno sempre gravitato nella zona salvezza. Nicola si fa finalmente un anno intero in panchina, senza subentri miracolosi o esoneri frettolosi; e alla fine ottiene ciò cui solitamente gli viene chiesto: la salvezza. A dimostrazione che la pazienza paga.
FABREGAS 7,5
Qualcuno faceva il fenomeno, affermando al giro di boa che per quanto avesse speso il Como sarebbe dovuto essere ben più su in classifica; che in Italia fare quel gioco non paga e altre ca**ate simili. La verità è che il lavoro di Fabregas - come quasi tutto quello degli allenatori ‘di sistema’ - è uscito alla distanza, pagando anche in questo caso i dividendi a chi ha saputo avere pazienza. Il Como ha chiuso vincendo 6 delle ultime 8, come una squadra che ha assorbito gli automatismi ed è già in rampa di lancio per la prossima stagione. C’è solo un problema: ha fatto talmente bene che il suo allenatore, nella prossima stagione, potrebbe già essere altrove.
D’AVERSA 4
Devastante girone di ritorno dell’Empoli. De-va-stan-te. Una squadra che da agosto a inizio dicembre aveva perso quattro partite, girando a medie quasi europee più che a quelle di un club che si deve salvare. Come già successo in passato però (tipo Lecce lo scorso anno) il buon D’Aversa si è dimostrato un bluff, mettendoci 5 mesi esatti - 8 dicembre, 10 maggio - per tornare a fare i tre punti in campionato. E a quel punto i buoi erano già scappati. L’Empoli aveva dei limiti, specie in avanti. Ma il suicidio, considerata una partenza del genere, è stato evidente.
PALLADINO 7-
Non fatevi forviare dalla narrativa che gira a Firenze: la prima stagione di Palladino al Franchi è stata positiva. Centra l’Europa con una discreta dose di fattore C, ma ha dimostrato intelligenza e pragmatismo dopo un avvio in cui le sue idee non avevano attecchito. Cambia modulo, gira gli uomini, non insiste con ciò che non va e si apre ad altro. Non sempre scontato. E anche in Europa alla fine fa un buon cammino, arrendendosi solo ai supplementari di una semifinale con una squadra arrivata quinta in Spagna. Non sarà il nuovo Rinus Michels, ma siamo certi che se a Firenze avessero visto passare l’inventore del calcio totale, avrebbero contestato anche lui…
GILARDINO 5
In estate c’era un hype pazzesco per il Gila, sui social giravano fotogrammi di allenamenti di un Genoa che lavorava su un calcio posizionale che manco Pep Guardiola. Due vittorie da agosto a metà novembre, condite dal capolavoro di essere riusciti a farsi eliminare dalla Sampdoria - questa Sampdoria - in Coppa Italia. Peccato, perché i presupposti erano altri. Ma si consoli. La storia è piena di rivoluzionari - o presunti tali - spenti sul nascere.
VIEIRA 6,5
Senza strafare ha riportato due/tre concetti basici in un Genoa un pizzico confuso. È arrivata così una salvezza tranquilla, serena, con quel pragmatismo tipico di chi lì in mezzo al campo ha anche fatto legna per una vita; e che conosce quindi l’importanza del sudore. Ecco, la sua versione del Genoa è stata l’opposto di quella del Gila: una squadra che non si vuole inventare niente. Equilibrio e punti. Per lo spettacolo, rivolgersi altrove.
ZANETTI 7
Il buon Zanetti ha fatto da fine settembre ai primi di dicembre ad attendere un esonero che non arrivava mai, tipo i bonifici di Manenti a Parma: “arriva lunedì”. Eccome no… E così, nell’attesa di far le valigie, mentre il Verona chiudeva un passaggio di proprietà dalle tempistiche bibliche, come un Pierino qualsiasi nascosto sotto il banco per non farsi beccare dalla maestra all’interrogazione, Zanetti non solo sfangava l’esonero, ma si salvava col sigaro in bocca. E con una squadra, non ce ne vogliate, molto prossima alla definizione di ‘scarsa’. Metafisico.
INZAGHI 6+
“Ma come 6+ a Inzaghi?!”. Già li sento i vostri insulti. Sì, 6+ a Simone Inzaghi. Quest’Inter doveva vincere. Era la squadra più forte. Il voto, chiaramente, non è rivolto alla stagione dei nerazzurri, che complessivamente sfiora l’eccellenza. Il voto è a un campionato che l’Inter ha buttato nel water; suicidandosi con la Lazio, facendo un punto su sei contro questa Juventus e questo Milan, lasciando punti al Parma di Pecchia e persino al Monza di Nesta. Cambiali che alla fine costano carissime e fanno scattare la festa a Napoli. Nonostante la Champions eccezionale, Inzaghi doveva e poteva fare qualcosa in più in Serie A. Spiaze, ma è così.
MOTTA 4,5
Una volta Shaquille O’Neal disse: “Non mi preoccupo mai del problema. Mi preoccupo della soluzione”. Ecco, la sensazione è che Motta a Torino abbia fatto esattamente questo. Ovvero si sia prodigato alla ricerca di una soluzione in campo, non accorgendosi che il problema, in primis, era altrove. Perché se non vai d’accordo con uno, allora la questione è interpretabile. Ma se non vai d’accordo con nessuno, allora il problema sei tu. Alla sua Juventus è mancata soprattutto empatia, spirito, coesione, voglia di andare oltre l’ostacolo. Il resto è stato solo una serie di conseguenze. Non capirlo, dunque, un peccare di superbia.
TUDOR 7
Ci ha messo tutto il cuore possibile. A partire da quel viaggio in auto. Perché quando la Juve chiama, lo juventino vero risponde. Così ha fatto Igor Tudor. Ha preso le chiavi e senza troppo pensarci ha messo in moto, decidendo che valeva comunque la pena giocarsi la mano nonostante le carte sul tavolo fossero pessime - contratto a tempo, situazione drammatica, no futuro. Ha chiuso centrando, con fatica, l’obiettivo. Riportando, se non altro, quel minimo di spirito di uno che sa cosa vuol dire giocare per la Juventus. Gobbo vero.
BARONI 6
Dalla Champions League al settimo posto, fuori da tutto. Una vittoria nelle ultime cinque. Perché se ci fermassimo alla 33esima giornata, la stagione di Baroni - con un quarto di finale in Europa League e una piena corsa ai posti che contavano in campionato - sarebbe stata eccellente. Ma il crollo, proprio dai maledetti rigori col Bodo, ha lasciato un retrogusto amaro, una sensazione di aver sprecato quanto fatto di buono lungo tutto il corso dell’anno. Che è stato molto. Ma, appunto, offuscato da un finale non altezza.
GOTTI 5
Due vittorie fino ai primi di novembre e un’eliminazione in Coppa Italia col Sassuolo. Pochino, specie per un allenatore che tutto sommato in quelle situazioni lì, durante la sua carriera, aveva abituato a percorsi più convincenti.
GIAMPAOLO 6-
Una quota salvezza teorica a 32 punti è una delle peggiori degli ultimi anni, specie considerando che da quando ne retrocedono tre - stagione 2004/05 - la media punti di solito ne richiede 37,2. Insomma, è bastato assai meno del solito quest’anno per salvarsi e Giampaolo lo fa strappando due vittorie insperate, sul filo di lana, contro Toro e Lazio, come quegli alunni che studiano solo nelle ultime due interrogazioni per provare a evitare la bocciatura. Più che ‘maestro’, ’ultimo della classe’, valà.
FONSECA 5
Se ci fosse una colonna sonora, sarebbe ‘Missing’ di Vangelis, quella che la Gialappa’s usava a Mai Dire Gol tanti anni fa quando c’era da salutare qualche allenatore particolarmente sfortunato. E se ci fosse un’immagine sarebbe l’auto-esonero, arrivato ancor prima del comunicato ufficiale dal finestrino della propria auto uscendo da San Siro. Ci ha provato, Fonseca. Il Calimero di un Milan dove non aveva allenati: non in dirigenza, non nel gruppo squadra, non tra la stampa. Un pulcino piccolo e nero, come il personaggio dei fratelli Pagot. Spernacchiato da tutti fin dal primo giorno. Ci ha provato e fallito. Ma l’ha fatto con dignità ed eleganza, fino all’ultimo.
CONCEICAO 4
Eleganza ad esempio che non ha avuto Sergio Conceicao, tra atteggiamenti con alcuni suoi giocatori e uscite di scarsa classe con avversari e arbitri, leggasi post partita della finale di Coppa Italia all’Olimpico. Ecco, se Fonseca se ne va con l’immagine da Calimero, quel che resta di Conceicao è in quel sigaro sfumacchiato con un che di arroganza per un trionfo in Supercoppa Italiana - avessi detto - più casuale che altro, arrivato dopo mezza giornata a Milanello. Il Michael Jordan de noantri termina così ottavo, fuori da tutto, giustamente spernacchiato dai meme e consegnando un trofeo a una squadra che non vinceva uno da 51 anni. Anche meno, dai.
NESTA-BOCCHETTI-NESTA 4
Il capolavoro del Monza, un trittico da ricordare anche per scelte contrattuali e le tempistiche adottate. Disasterclass qui di Galliani, più in versione civetta che condor. Dopo la super stagione di Palladino lo scorso anno, il Monza va giù e lo fa alla velocità del Titanic, dirigendosi dritto contro l’iceberg di una rotta mai cambiata da nessuno dei due allenatori. Permetteteci infine la ciliegina sulla torta: notevole il contratto triennale - tre anni - fatto a Bocchetti in corsa.
CONTE 9
‘Amma faticà’. Così si era presentato Conte nella sua prima e faraonica conferenza stampa. Perché sotto sotto ADL l’aveva capito già lì di aver fatto ‘bingo’, di aver pescato - di nuovo - la carta giusta dal mazzo. Quella che il salentino si porta dietro è una promessa: dedizione, etica del lavoro, sudore e risultati. Faticà, appunto. Una promessa che è diventata realtà anche a Napoli, luogo la cui nomea non è esattamente quella di essere una piazza facile. Ma alla fine Conte si è messo dietro tutti quanti, persino un presidente che ama metterci la faccia e che quest’anno, fino alla festa, non si è praticamente mai visto. Anche questo, se volete, un altro miracolo contiano.