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  • Boskov, la figlia racconta: 'Quando tornò alla Sampdoria fu per finire un lavoro...'

    Boskov, la figlia racconta: 'Quando tornò alla Sampdoria fu per finire un lavoro...'

    • Lorenzo Montaldo
    Nel mondo del calcio ci sono storie, personaggi e nomi che restano legati anche a distanza di anni. A Genova, sponda Sampdoria, ce ne sono due che vengono pronunciati sempre con deferenza pure dopo decenni: Paolo Mantovani e Vujadin Boskov. Il primo fu il creatore di quella squadra che incantò l'Italia e l'Europa, il secondo invece divenne l'architetto dei successi doriani a cavallo tra gli anni '80 e '90.

    Oggi 'Zio Vuja' non c'è più, ma a ricordarlo con affetto resta la figlia, Aleksandra: "Uno dei sogni di mio papà era di venire a vivere a Ginevra e giocare a calcio coi suoi nipoti: purtroppo questo sogno non si è potuto realizzare" ha raccontato all'emittente genovese proprio Aleksandra Boskov a Primocanale. "Negli aneddoti di mio padre ricorrono spesso gli animali perché amava la caccia, era un cacciatore: quello col quale disse a Pagliuca che per migliorare doveva diventare volpe, oltre che essere puma, ne è un esempio. Usava le metafore solo nel calcio, difficilmente con noi. A casa c'era il rituale del prendere il caffè ed era un vero piacere berlo con lui. E' stato un padre molto affettuoso, molto presente, non era severo e aveva molta fiducia: abbiamo sempre avuto un rapporto bello e sereno".

    Quella blucerchiata è forse la squadra con cui ha vissuto i momenti più indimenticabili: "E' sempre rimasto molto legato alla Sampdoria: un'idea che mi sono fatta è che quando tornò in blucerchiato da allenatore, molti anni dopo aver indossato la maglia della Samp da calciatore, aveva in mente di dover finire un lavoro che aveva lasciato a metà quando era giocatore" spiega ancora Aleksandra. "Aveva un innato talento psicologico che lo portava a saper capire i ragazzi giovani, nonché a saper comunicare molto bene con i tifosi, di ogni squadra dove giocò o allenò".

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