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  • Chirico: 'Ora che la Juve è stata colpita, vogliono riformare la giustizia sportiva, ma non hanno capito nulla'

    Chirico: 'Ora che la Juve è stata colpita, vogliono riformare la giustizia sportiva, ma non hanno capito nulla'

    • Marcello Chirico
      Marcello Chirico
    Riformare la giustizia sportiva.  Lo hanno auspicato nei giorni scorsi i ministri Abodi (Sport) e Giorgetti (economia), lo ha ribadito ieri anche il presidente del CONI Malagò. Per decenni questa riforma è stata presente nelle agende di tutti i presidenti che si sono avvicendati sullo scranno della FIGC – Gravina compreso – nessuno però l’ha mai realizzata. Peggio, non c’hanno nemmeno provato. Adesso, mentre è in corso il procedimento sportivo nei confronti della Juventus con le solite regole (quelle già utilizzate per Calciopoli),  in tanti però la invocano.  Prima penalizzano per bene la Juve,  dopodiché  partoriranno, forse, una riforma.

    “A dire il vero una riforma c’è già stata recentemente – ha tenuto a precisare Malagò - con una serie di integrazioni e miglioramenti”. Quisquiglie presidente, perché l’impianto generale della GS è rimasto inalterato. Altrimenti la Juventus non sarebbe stata processata con procedure che tutto sono fuorché qualcosa di simile al “giusto processo” sancito dalla Costituzione.

    A cominciare dalle tempistiche: in 5 mesi e appena tre sedute processuali  (2 volte CAF, 1 CONI), ciascuna della durata non superiore ai 60 minuti,  la Juventus è stata ritenuta colpevole ricorrendo ad un’accusa generica, quella della “slealtà sportiva”. Qualcosa che ricorda tanto l’”illecito strutturale” utilizzato nel 2006, un aborto giuridico inventato sul momento per poter retrocedere Madama in Serie B . In quanto la GS manipola il codice a piacere.

    Un modo sbrigativo e superficiale di celebrare i processi, nei quali è davvero impossibile costituire l’onere della prova, che normalmente si forma nel corso del dibattimento  e non limitandosi all’ascolto di intercettazioni telefoniche totalmente decontestualizzate.

    Ciò nonostante, pur di fronte ad una palese anomalia giuridica, Abodi e Malagò chiedono alla giustizia sportiva di essere ancora più veloce. “Tre gradi di giudizio sono lunghi, soprattutto il terzo , e questo spiazza l’opinione pubblica” ha detto il ministro. Al quale si è subito allineato il presidente del Coni, spingendo pure lui sulla “celerità dei provvedimenti, perché i tempi vanno accorciati il più possibile”.

    Esimi signori, permettetemi di dirvelo: non avete davvero capito nulla. Se c’è un aspetto che va modificato riguarda proprio i tempi processuali, proprio per evitare condanne approssimative, basate più sul sospetto che su prove concrete. Soprattutto consentendo un contraddittorio vero, articolato, che permetta  ai legali una reale difesa dei propri assistiti, cosa che al momento non è possibile. Anzi, regole e tempistiche attualmente in vigore, ledono in maniera totale il diritto alla difesa. L’anomalia sta qui, non rendersene conto è da orbi. Chiedere addirittura di abbreviare  ancora di più i tempi processuali, significa sdoganare del tutto il giudizio unilaterale, rendendola la prassi.  

    Mentre la vera riforma consisterebbe proprio nel rendere la giustizia sportiva più simile a quella ordinaria, in modo da limitarne il margine di errore. Per esempio, retrocedere una squadra per illeciti e scoprire in seguito che i campionati erano stati regolari e non c’erano state partite truccate. È già successo, e nessuno ha chiesto scusa, nemmeno si è posto il problema di riaprire i processi, come tra l’altro prevede proprio il codice di giustizia sportiva. 

    Fin quando le istituzioni sportive non si renderanno conto di questo, è inutile auspicare una riforma della GDS perché continueremo a parlare del nulla. E autonomia dello sport farà sempre rima con potere assoluto e ingiustizia. 

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