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  • Ciao a Casaleggio, il re dei social

    Ciao a Casaleggio, il re dei social

    • Marco Bernardini
    Se ne è andato senza fare rumore. Troppo presto, a sessantuno anni, per le tante cose che ancora aveva da fare. Era uno di noi, Gianroberto Casaleggio le cui intuizioni politiche e sociali potevano essere condivise o meno. Era uno di noi perché, da una vita, si batteva sostenendo che il più alto e più nobile simbolo della democrazia diretta era rappresentato dalla possibilità di scambio telematico tra le genti di tutto il mondo. Era uno di noi perché anche questo giornale (il nostro e vostro giornale) nel giro di venti anni è cresciuto lentamente ma inesorabilmente proprio grazie all’idea che la comunicazione non deve essere uno strumento elitario nelle mani del Palazzo, ma un elemento comune attraverso il quale relazionarsi senza censure seppure con educazione e rispetto reciproco. Diciamo pure che senza Casaleggio e quelli come lui la macchina mediatica indispensabile ad ogni civiltà degna di tale definizione avrebbe continuato il suo percorso manovrata dai pochi addetti ai lavori. 

    Come scriveva Antonio Gramsci: “Gli operai sono operai perché conoscono dieci parole rispetto alle diecimila usate dai padroni”. Ora non vi è dubbio che lo strumento di Internet ha colmato in buona misura questo gap anche se non ha ancora determinato l’annullamento delle separazioni tra le varie classi sociali. Ma, stando a quel che profetizzava Casaleggio, entro il 2054 e dopo una feroce guerra mondiale tra cristiani e musulmani, l’umanità vivrà un nuovo e definitivo rinascimento alla cui base ci sarà una forte di autentica, globale e pura democrazia nel segno della telematica.

    Come vedete non ho messo di mezzo la politica. Volutamente. Anche perché, se andiamo per bene ad analizzare la questione, il Movimento creato da Beppe Grillo su ispirazione del giovane guru milanese sguscia via dalle mani della politica tradizionale ancora oggi difesa dalle partitocrazie dai vari colori e dai mutevoli pensieri. Ciascuno ha il pieno diritto, non di giudicare ma di approvare o di rigettare le tesi filosofiche e anche pratiche portate avanti dal comico genovese e dal suo mentore ideologico. Tutti abbiamo il sacrosanto dovere di ammettere senza riserve che Grillo e Casaleggio e i sui ragazzi hanno provveduto in ogni caso a scoperchiare il pentolone dentro il quale, da troppo tempo, ribollivano ogni sorta di schifezze facendo in modo che, attraverso la Rete, tutti potessero guardare dentro e rendersi conto del marciume.

    Anche il mondo dello sport e in particolare quello del calcio (quello nostro e vostro di Calciomercato.con tanto per intenderci) è a bagnomaria in quel pentolone. Un gioco che ha cominciato a imputridire quando è diventato industria. Oggi il fatturato dell’azienda pallone è il triplo di quello dell’industria dei cereali e muove lo 0,25 per cento del pil nazionale. Per secoli il calcio ha avuto la funzione di divertire che lo praticava e chi lo guardava. Oggi, con la privatizzazione di un bene collettivo e anche culturale, il suo scopo principale si è trasformato in quello di arricchire faccendieri, amministratori, mediatori, finanzieri, pubblicitari, marketing-makers, azionisti, fabbricanti, palazzinari, venditori assortito e, perchè no, anche rappresentanti dei media. Insomma tutta la tribù che ruota intorno agli attori della commedia ovvero i calciatori i quali guadagnano da dieci a cento volte ciò che sarebbe ragionevole in  un sistema appena normale.
     
    Un’analisi, questa, che compare nell’agenda di Casaleggio e di Grillo i quali indicano una sola strada utile per un sano ritorno al futuro: la decomercializzazione del calcio ai cui parassiti noi tutti paghiamo il pizzo nascosto nei prezzi delle merci prodotte da chi sponsorizza il nostro gioco. Una denuncia che Casaleggio e Grillo amavano esemplificare così a chi chiedeva loro per quale squadra facessero il tifo: “La passata stagione per il Frosinone, quest’anno per l’Akragas”.

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