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  • Dino Baggio, storia di un 'hombre vertical': il Parma, la Nazionale, la Juve

    Dino Baggio, storia di un 'hombre vertical': il Parma, la Nazionale, la Juve

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    E’ il 23 giugno del 1994.
    Al Giants Stadium di East Rutherford, cittadina del New Jersey a poco più di un tiro di schioppo da New York,
    si gioca il secondo incontro della fase a gironi del campionato mondiale di calcio.
    Italia-Norvegia.
    Se per gli azzurri di Arrigo Sacchi l’avvio del mondiale è stato assai al di sotto delle aspettative (sconfitta all’esordio contro l’Irlanda di Jack Charlton) quello che accade dopo venti minuti fa sprofondare nello sconforto l’Italia del calcio intera.
    Gianluca Pagliuca deve uscire alla disperata su Leonhardsen. Tocca il pallone con il braccio.
    Per il fiscalissimo arbitro tedesco Krug il nostro portiere deve lasciare il campo.
    Sono secondi frenetici.
    Quelli che il tifoso medio adora disquisire a fine partita, con il vantaggio di una mente “fredda” e del celeberrimo “senno di poi”.
    ... ma che per chi siede in panchina sono decisioni da prendere in pochissimo tempo nel quale non è certo possibile analizzare tutte le possibili alternative.
    Arrigo Sacchi toglie dal campo Roberto Baggio per inserire Luca Marchegiani, il nostro portiere di riserva.
    Proprio lui, Roberto Baggio.
    Il giocatore di maggior talento in campo.
    Tra i famosi 60 milioni di allenatori di cui si dice sia popolato il nostro Paese l’unico a pensare di togliere il “Divin Codino” è probabilmente lui, Arrigo Sacchi da Fusignano.
    Il punto (e la nostra fortuna ...) è che colui che decide è proprio lui.
    E così uno “stranito” (eufemismo) Roberto Baggio si va a sedere in panchina.
    Pierluigi Casiraghi rimane da solo in avanti a fare “a sportellate” con il suo proverbiale coraggio contro i marcantoni norvegesi con Beppe Signori, Nicola Berti e Dino Baggio a supportarlo non appena se ne presenta la possibilità.
    Già, Dino Baggio.
    Corre, pressa, sradica palloni dai piedi degli scandinavi e li distribuisce con criterio e lucidità.
    Potrebbe bastare in quella complicata situazione.
    Come potrebbe bastare un pareggio per poi giocarsi tutto nell’ultima partita del girone contro il Messico.
    Mancano ormai poco più di venti minuti alla fine quando agli azzurri viene assegnato un calcio di punizione dalla sinistra. 
    Dino Baggio è alto 188 centimetri.
    Non poco certo. Eppure in quell’area di rigore ci sono almeno quattro norvegesi più alti di lui.
    La testa che svetta sul bellissimo pallone di Beppe Signori però è la sua.
    Il suo gol aprirà agli azzurri le porte degli ottavi di finale.
    Il suo gol trasformerà un mondiale iniziato come un incubo in qualcosa di molto simile a sogno ... che svanirà per colpa di tre maledetti calci di rigore.

    Sergio Vatta conosceva come pochi, pochissimi il calcio.
    Sapeva insegnarlo e sapeva anche e soprattutto riconoscere i campioni.
    Quando Dino Baggio arriva a Torino dal suo Veneto ha solo tredici anni.
    Ma se alle innate doti di quel ragazzino lungo e “secco” aggiungi la fortuna di arrivare in uno dei settori giovanili più attenti e competenti di tutto il Paese diventa tutto più facile.
    A diciotto anni fa il suo esordio con i granata.
    Siamo nella stagione 1989-90, quella nella quale il bravo Eugenio Fascetti riporta “il Toro” nella massima serie.
    Sulla panchina granata arriva in estate Emiliano Mondonico.
    Un altro che di calcio “sa”.
    Vede questo lungagnone dinoccolato che gioca con un’intensità pazzesca e che in campo ha già l’intelligenza di fare praticamente sempre la scelta giusta. 
    Il “Mondo” lo inserisce sempre più spesso a centrocampo.
    Dino farà abbondantemente la sua parte in quel Torino che da neopromossa in Serie A raggiungerà un meraviglioso quinto posto, buono per tornare in Europa a sei anni dall’ultima avventura.
    La Juventus ha intanto messo gli occhi su di lui. Sborsa quasi dieci miliardi della vecchie lire che per un ragazzo di vent’anni sono una bella cifra.
    Ci sono inghippi nel passaggio diretto e così la società di Giampiero Boniperti decide di spedire Dino in prestito all’Inter.
    Sarà una stagione da dimenticare per i nerazzurri affidatisi a Corrado Orrico per poi rinnegare la scelta alla fine del girone di andata.
    Ma Dino il suo lo ha fatto alla grande e così, nella stagione 1992-93 indossa finalmente la casacca bianconera.
    Nel frattempo però alla guida della Nazionale Italiana è arrivato Arrigo Sacchi che per Dino semplicemente stravede.
    Il 21 dicembre del 1991 a Foggia contro Cipro il ragazzo di Camposampiero fa il suo esordio in Nazionale.
    Vent’anni tondi tondi.
    Quella maglia azzurra la metterà altre 59 volte.
    Alla Juventus però gli spazi iniziano a scarseggiare.
    Dino non è più un titolare inamovibile.
    In Emilia c’è una squadra che è arrivata sul palcoscenico della massima serie da soli quattro anni ma che grazie alla sapienza di Nevio Scala e agli investimenti di Calisto Tanzi sta guadagnando le posizioni di vertice del nostro campionato.
    E’ lì, nella città del Regio, di Arturo Toscanini, di Guido Picelli e di Vittorio Adorni che nell’estate del 1994 approda Dino Baggio.
    Sarà la scelta più felice e azzeccata della sua carriera.
    Arriveranno due Coppa UEFA, una Coppa Italia e una Supercoppa italiana.
    ... ma anche un grande rimpianto.
    «Non aver vinto lo Scudetto a Parma nella stagione 1996-97. Quel titolo lo meritavamo noi.»

    Dino Baggio, storia di un 'hombre vertical': il Parma, la Nazionale, la Juve


    ANEDDOTI E CURIOSITA’

    Veramente particolare il passaggio di Dino dal Torino alla Juventus.
    Il Presidente granata Borsano informa il giovane centrocampista dell’interesse della Juve.
    Dino Baggio non ha nessuna esitazione. Da bambino i bianconeri erano la sua squadra del cuore.
    Visite mediche, presentazione e foto di rito prima di partire per le vacanze.
    Solo che qualche giorno dopo gli arriva una telefonata di Boniperti, A.D. della Juventus che lo invita a presentarsi in sede.
    «Per questa stagione vai all’Inter e nella prossima torni da noi».
    Dino non crede alle sue orecchie.
    La Juventus aveva appena soffiato Giovanni Trapattoni all’Inter per farlo tornare sulla panchina della “Vecchia Signora” ... Dino Baggio in qualche modo fa parte dell’accordo.
    «In pratica l’unico giocatore della storia ad essere scambiato con ... un allenatore!» ci ha sempre scherzato sopra il simpatico centrocampista veneto.

    In una carriera da “guerriero” del centrocampo gli infortuni hanno tutto sommato risparmiato il centrocampista veneto. In un’occasione però il rischio fu davvero grande e non c’entrano affatto scontri di gioco, guai muscolari o traumi alle ginocchia.
    Il Parma di Malesani è in trasferta a Cracovia per un incontro di Coppa UEFA. Non basta un campo infame dove è impossibile giocare a calcio ma ci si mettono anche gli “ultras” polacchi che iniziano un lancio di oggetti di varia natura in campo con obiettivo ovviamente i calciatori emiliani.
    Uno di questo colpisce alla testa proprio Dino Baggio.
    «Era un coltello. Non potevo crederci» racconterà il centrocampista del Parma.
    «E meno male che mi ero girato solo una frazione di secondo prima perché sennò quel coltello mi sarebbe arrivato in pieno volto».
    Sta di fatto che Dino prosegue tranquillamente la partita ma quando rientra negli spogliatoi ci si accorge che la situazione è più seria del previsto ed è tale da costringere lo staff medico del Parma ad applicargli cinque punti di sutura.

    Finita la carriera Dino Baggio oltre a diverse collaborazioni in ambito calcistico ha potuto cimentarsi in una delle sue grandi passioni: il teatro.
    Nella “Passione di Cristo” proposta in diversi teatri del Veneto e non solo Dino farà la parte del soldato romano. Sarà uno di quelli che andrà a prelevare Gesù nell’Orto degli Ulivi, parteciperà alla sua crocifissione convertendosi poi davanti al Cristo morente.

    In una recente intervista sulla Gazzetta di Parma Dino Baggio ha rievocato diversi bellissimi ricordi del suo passato di calciatore.
    Dall’avversario più forte mai incontrato (Zinedine Zidane) al calciatore più ammirato in assoluto (Ronaldo “il fenomeno”) l’allenatore più bravo avuto in carriera (Arrigo Sacchi) o al più forte con cui ha condiviso una maglia (Roberto Baggio).
    Un posto speciale nei ricordi di Dino è per il suo compagno di squadra al Parma Faustino “Tino” Asprilla.
    «Un ragazzo fantastico. L’ideale con cui condividere uno spogliatoio per la sua allegria e la sua positività» ricorda Dino che poi aggiunge un divertente aneddoto.
    «Arriva il giorno in cui Nevio Scala ci informa che dobbiamo pagare le multe accumulate per ritardi e comportamenti non consoni. Capitan Minotti ha tutti i foglietti con gli importi per ognuno di noi. Tino, che da solo aveva più multe di tutti noi messi insieme, quando vede le sue multe con l’importo sul tavolo ... decide di mangiarsele! Proprio così! Se le mette in bocca, le mastica e le ingoia davanti a Nevio Scala e tutti noi. Eravamo coricati in terra dalle risate!... con Tino che non fece neanche una piega ...»

    Su quanto accaduto in Parma-Juventus di quel gennaio del 2000 ne hanno parlato già in tanti (troppi).
    Il famoso sfregamento “pollice e indice” nei confronti dell’arbitro Farina reo di aver espulso il centrocampista del Parma per un fallo sullo juventino Zambrotta.
    Per noi contano solo due cose.
    Quelle che da sempre afferma Dino Baggio.
    La prima, che è anche il titolo dell’ultimo capitolo della sua bella biografia uscita una dozzina di anni fa, è la frase “L’ho pagata cara” perché quel gesto lo ha di fatto CANCELLATO dal calcio nazionale a soli 29 anni.
    Da titolare inamovibile della Nazionale a “reietto” per un calcio che all’epoca di verginità e di etica ne aveva davvero poca ma che aveva un bisogno disperato di trovare un “agnello sacrificale” da mandare in pasto ai lupi.
    La seconda, ancora più importante e significativa, è quella che racconta Dino Baggio ogni volta che questo argomento viene tirato in ballo: “Quel gesto lo rifarei non una ma un milione di volte”.

    In Sudamerica li chiamano così: “Hombre vertical” quelli, come diremmo noi, con la schiena diritta e una faccia sola. Quelli che non si piegano al “potere” e  che del potere non ne hanno timore.
    ... a costo di essere messi da parte e da molti (non da tutti e non certo a Parma) dimenticati.

    Dino Baggio, storia di un 'hombre vertical': il Parma, la Nazionale, la Juve

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