Calciomercato.com

  • L’arte di diventare ex in un bel libro di Matteo Cruccu

    L’arte di diventare ex in un bel libro di Matteo Cruccu

    • Pippo Russo
    La vita dopo il calcio è un cammino verso l’ignoto. Ogni attore del mondo del pallone lo sa, ne ha avuto centinaia di testimonianze mentre la sua carriera è in corso, e man mano che sente avvicinarsi il momento di appendere le scarpe al chiodo cerca di prepararsi mentalmente. Ma la verità è che nessuno mai è pronto per il momento in cui tutto finisce. Perché si smette troppo presto rispetto a quello che è il percorso di una vita intera, e perché troppo brutalmente si passa dal palcoscenico al silenzio. Soprattutto, non esiste il modo giusto, la ricetta senza controindicazioni, per chiudere la carriera senza essere attraversati dal senso di vuoto. Ciascuno dovrà trovare il proprio percorso, e l’adattamento alla “vita dopo” sarà comunque un cammino di solitudine.

    Di cosa possa succedere negli anni che seguono la carriera agonistica parla un bel libro scritto da Matteo Cruccu. S’intitola “Ex. Storie di uomini dopo il calcio” (Baldini & Castoldi, pagine 144, euro 15), e racconta le vicende di personaggi calcistici che non si sono limitati a smettere, ma hanno scelto il modo più radicale per essere ex: troncare definitivamente col calcio dei grandi palcoscenici dopo aver messo fine alla carriera sui campi da gioco. Una decisione di cambiare vita presa senza mediazioni, mandando per sempre in cantina la parte di se stessi che aveva dato ricchezza e notorietà. È questo il filo che unisce le dieci storie raccontate da Matteo Cruccu, giornalista di Corriere.it che, come dice il titolo del libro, ha voluto raccontare “storie di uomini” prima che di calciatori. E si tratta di storie forti, ciascuna per una ragione propria. Gli ex passati in rassegna sono: Marco Ballotta, Gianni Comandini, Diego Fuser, Nando De Napoli, Osvaldo Bagnoli, Moreno Torricelli, Pasquale Bruno, Alberto Malesani, Riccardo Zampagna e Francesco Flachi. Personaggi accomunati da un grado più o meno elevato di anti-divismo già quando erano nel pieno della carriera, e che dopo aver smesso non hanno trovato nulla di traumatico nell’essere dimenticati.

    Anzi, in qualche caso quell’oblio l’hanno cercato. Come è successo a Gianni Comandini, attaccante che era stato una grande promessa del calcio italiano fino a che non è stato schiacciato da un doppio passaggio di carriera a vuoto: prima il Milan, dove capita nel momento sbagliato, e poi l’Atalanta che spende una cifra-monstre (30 miliardi di lire) per portarlo in nerazzurro. Erano tempi in cui il calcio italiano viveva da cicala un’Età dell’Oro che pensava eterna, sicché poteva capitare che una società di provincia spendesse come una grande e un calciatore venisse valutato più del doppio di quanto fosse corretto. Col carico di responsabilità che ne derivava per l’atleta. Quel passaggio segna profondamente Comandini, nella vita personale più che in quella calcistica, e lo spinge a recidere ogni legame col mondo del calcio quando sceglie di chiudere precocemente la carriera. A 29 anni, età che per un calciatore significa il momento più alto della maturità agonistica.

    Il modo d’essere ex scelto da Gianni Comandini è estremo per un verso, e all’estremo opposto si trova il modo scelto da Marco Ballotta: e forse non è un caso che le loro storie occupino i primi due capitoli del libro. Ballotta si mette alle spalle la carriera calcistica disputata ai massimi livelli nel momento in cui smette, ma poi a 45 anni ricomincia a giocare in campionati amatoriali. Non cerca di restare nel mondo del calcio che conta, come tanti colleghi fanno o provano a fare: ricollocandosi in ruoli tecnici e dirigenziali, o andando a infoltire il sottobosco degli intermediari di calciomercato, per non dire di quelli che alimentano il pubblico banalogio e massacrano la lingua italiana con le loro performance da “commentatori tecnici. No, Marco Ballotta torna a seguire la passione per il pallone riscoprendo i campacci da gioco nei quali aveva iniziato. A costo di scontare le sbruffonerie dei fenomeni da tornei del bar, che pur di poter raccontare d’aver fatto gol all’ex portiere di serie A son pronti a ogni furbata e provocazione.

    Le storie di uomini che Cruccu racconta hanno tutte questo tenore, e in alcuni casi commuovono pure. Come capita leggendo le pagine dedicate a Diego Fuser e a Moreno Torricelli, nelle quali vengono raccontate le tragedie della vita privata di cui poco si sapeva. E su tutti spicca un capitolo dedicato non a uno dei due capitoli dedicati non a ex calciatori, ma a ex allenatori: quello su Osvaldo Bagnoli. L’anti-divo per eccellenza, la persona più schiva che il calcio italiano abbia mai conosciuto. Detestava i riflettori già quando era in carriera, e vinceva uno scudetto irripetibile a Verona, o portava il Genoa a cogliere una storica vittoria a Anfield contro il Liverpool, o guidava un club che comportava la massima esposizione mediatica come l’Inter. Figurarsi quanto sia stato disponibile a concedersi ai media dopo la fine della carriera calcistica. Zero, appunto. Sparito per scelta. Tanto più che, al contrario di quanto succeda di norma agli allenatori, la scelta di smettere con la panchina è stata sua. In genere un allenatore finisce la carriera perché poco a poco le occasioni di lavoro si diradano, e quando poi arrivano sono legate a casi sempre più disperati. E a quel punto s’alimenta il loop negativo, che costruisce l’immagine dell’allenatore “ormai vecchio e perdente”. Invece Osvaldo Bagnoli decide di smettere nel pieno della carriera. Dopo un confronto con l’allora presidente e proprietario dell’Inter, Ernesto Pellegrini. Da quel colloquio Bagnoli esce esonerato. E tornando a casa comunica alla moglie che da quel giorno non allenerà più. Per molti altri potrebbe essere un momento di rabbia, da lasciar sbollire nelle settimane e nei mesi successivi per poi rimangiarsi quel “mai più”. E invece Osvaldo Bagnoli lo fa sul serio: da quel giorno chiude col calcio, declinando le numerose offerte di tornare in panchina che nel periodo immediatamente successivo non mancano. Poi anche per lui il telefono smette di squillare. E in questo caso senza alcuna ansia per l’ex, che quel silenzio l’ha auspicato sin dal momento in cui ha detto basta.

    @pippoevai
     

     

    Altre Notizie