Redazione Calciomercato

Laziomania: orgoglio, scelte insensate e 23 milioni buttati. Guendouzi smaschera i compagni, bivio Tavares
- 78
“And after all…”. Perché dopotutto, la notte dell’Olimpico rappresenta la vera essenza della lazialità. Crederci, nonostante tutto e nonostante tutti. La Lazio di Baroni fa tutto quel che deve e forse tutto quello che può, in una serata riservata a cuori forti e innamorati. Costruisce la rimonta da 0-2 a 3-0 con audacia, tenacia, gioco e coraggio. E dopo un finale dei 90’ incredibile, con la parata di Mandas su Helmersen e il goal di Noslin, mette addirittura la freccia con Dia nell’extra-time, salvo poi distrarsi sul più bello con un errore che regala il goal ai norvegesi al 109’. Il resto è storia, ed è lotteria dei rigori. Dove imprevedibilità, ingenuità (tanta) in alcune scelte e un pizzico di sfortuna si mischiano in un calderone letale, condannando i biancocelesti ad un’eliminazione che fa male.
Al fischio finale, le immagini emblematiche sono tre: le lacrime dei calciatori in campo, stremati e delusi, gli applausi di uno stadio gremito e la rabbia di Guendouzi per qualcosa che è andato storto e che poteva essere indirizzato in maniera diversa. Una serata quasi perfetta e un epilogo sfumato sul più bello, a pochi centimetri dall’arrivo. “You're my wonderwall” cantano gli Oasis. E lo scrive e canta anche un Olimpico innamorato di una squadra che, nonostante i propri limiti in termini di rosa ed esperienza, prova a gettare il cuore oltre l’ostacolo e sfiora un’impresa storica.
Nel day after, la sensazione è un misto di emozioni positive e negative, che si fondono creando un mix difficile da descrivere. L’orgoglio nei confronti una squadra che non si è arresa fino all’ultimo, concludendo la gara ai rigori e con le forze fisiche e mentali ridotte a zero. L’amarezza per gli infortuni, e in particolare per quello di Nuno Tavares, calciatore che è ormai lontano parente di quello apprezzato nei primi mesi della stagione e alle prese con una serie infinita di stop muscolari che lo rendono nuovamente fuori uso in un momento cruciale della stagione. Un altro problema fisico che spinge a delle riflessioni sulla possibile conferma del terzino portoghese in vista della prossima stagione: ok il riscatto, ma vale davvero la pena resistere ad eventuali tentazioni milionarie e offerte di top club? La risposta in questo momento è no.
C’è un po’ di rabbia mischiata alla delusione per alcune scelte di Baroni, in particolare al momento di selezionare i rigoristi (ma è buona usanza degli allenatori affidarsi alle sensazioni dei calciatori) e della società nella costruzione della rosa, con l’attacco che continua a mancare in alcuni singoli e alcuni di questi che - ad aprile inoltrato - ora possono tranquillamente essere giudicati come acquisti flop.
Gli errori dagli undici metri rappresentano solo l’ultima tappa di un calvario che dura praticamente da inizio stagione per Noslin e Tchaouna. L’ex Verona firma il 2-0 e regala i supplementari ai biancocelesti, è vero, ma nella sua annata spiccano finora molte più note dolenti rispetto a quelle liete, riconducibili alla sola tripletta in Coppa Italia contro il Napoli e al goal col Torino. Poi il vuoto totale, proprio come la stagione di Tchaouna. Il francese non è mai capace di incidere e spesso, al contrario, è apparso fuori contesto e spaesato. Un problema da 23 milioni di euro - 15 per Noslin e 8 per Tchaouna - e un attacco che si è dovuto aggrappare al sempreverde Pedro nel momento di difficoltà assoluta per l’infortunio di Castellanos. Cifra alla quale si aggiungono anche gli oltre 11 milioni messi sul piatto per Dia, calciatore che dopo un ottimo avvio sta vivendo un periodo di profonda crisi e di flessione di rendimento, che sta pesando non poco sui risultati della Lazio.
La squadra di Baroni ‘sbatte’ sugli investimenti estivi in attacco e la loro scarsa capacità realizzativa in diverse occasioni. Sliding doors che hanno cambiato la storia della stagione dei biancocelesti, come nel caso dell’errore di Dia a Venezia o di quello di Noslin nel recupero del derby. Un problema non da poco che la società dovrà risolvere in estate, a patto che voglia far crescere il livello della squadra e puntare ancora più in alto.
Orgoglio, dicevamo. Lotito nel pre-partita e Baroni e Zaccagni nel post ci tengono a ribadire il concetto. E non può essere diversamente. Il risultato e la fortuna voltano le spalle alla Lazio, che gioca 70 minuti d’alto livello, come fatto nella passata stagione in Champions League. L’Olimpico luccica, come nella notte contro il Bayern Monaco di San Valentino 2024, ma questa volta non la risolve Immobile. Isaksen fa il solito grande lavoro a destra, il Taty Castellanos colpisce alla prima occasione utile col tacco e Zaccagni è molto attivo dall’altra parte, sfiorando il raddoppio con la sola traversa a fermarlo. Ma quando serve linfa, qualità e idee dalla panchina, ecco che vengono alla ribalta tutti i limiti.
L’argentino, però, ha sulla coscienza qualche errore di troppo, che costerà caro nel discorso qualificazione. La pressione e la voglia di fare giocano un brutto scherzo, proprio come nel finale, quando il Taty decide inspiegabimente di calciare il rigore nonostante un finale di gara da fermo per i crampi. “Se la sentiva” ha spiegato Baroni dopo la gara. Una scelta che però appare superficiale quanto insensata. Così come quella di far calciare Tchaouna, anche ieri sera evanescente e mai decisivo. Una decisione che mostra i limiti sia dei calciatori coinvolti ma soprattutto di un allenatore e di uno staff tecnico che nel momento chiave della gara più importante della stagione si lascia sopraffare e non si impone, finendo in balìa degli eventi.
La Lazio si aggrappa a Mandas e Guendouzi, due giganti. Il portiere greco è ancora decisivo con la parata a tempo scaduto su Helmerson, prima di dire la sua anche nella lotteria finale dei rigori, mentre il francese è davvero l’uomo in più di questa squadra: motorino perpetuo, è sempre nel vivo dell’azione, in entrambe le fasi, ed è l’ultimo a mollare. “Dobbiamo tirare fuori gli attributi” grida, come rivela Sky Sport, a compagni e staff al rientro dagli spogliatoi. E non è difficile immaginare che dietro la rabbia del francese ci sia la scelta dei rigoristi. Una sensazione e un’ipotesi da non scartare. Un attacco ad alcuni compagni che hanno scelto di non calciare e hanno preferito lasciare il pesante compito ad altri.
Per la Lazio ci sono diverse sliding doors dopo la sfida contro il Bodo/Glimt, ma certamente qualcuna è più significativa di altre. Come nel caso dell’infortunio di Nuno Tavares: doppio cambio e doppio slot nel ruolo, perso nuovamente il treno portoghese e soprattutto la prestazione di Hysaj, che entra come peggio non potrebbe e si perde Helmerson sul goal dell’1-3. Un qualcosa di inspiegabile che aumenta il rammarico per la scelta di inserire nella lista l’ex Napoli e non Luca Pellegrini.
Dopo una notte come quella dell’Olimpico, in cui la prestazione della Lazio è stata generosissima, il rammarico resta per la gara d’andata, dove al netto delle difficoltà la squadra di Baroni è sembrata non presentarsi proprio sul campo dl Bodo. E la differenza nel discorso qualificazione l’ha fatta proprio la capacità della squadra norvegese di restare in partita anche nel momento di smarrimento totale.
Una menzione per Knutsen non può mancare. Nel doppio confronto la sua squadra ha dimostrato di tenere testa alla Lazio, ma certamente l’atteggiamento antisportivo del tecnico e di alcuni suoi calciatori resta un grave macchia da non cancellare. Brutti episodi, come quello dell’allontanamento del pallone da parte del tecnico e delle scenate di alcuni suoi ragazzi salvo poi rialzarsi con il possesso della palla, rappresentano l’immagine più errata e controproducente possibile per questo sport. Un qualcosa da cancellare e da educare, indipendentemente dai risultati del campo e dai meriti sportivi.
Al fischio finale, le immagini emblematiche sono tre: le lacrime dei calciatori in campo, stremati e delusi, gli applausi di uno stadio gremito e la rabbia di Guendouzi per qualcosa che è andato storto e che poteva essere indirizzato in maniera diversa. Una serata quasi perfetta e un epilogo sfumato sul più bello, a pochi centimetri dall’arrivo. “You're my wonderwall” cantano gli Oasis. E lo scrive e canta anche un Olimpico innamorato di una squadra che, nonostante i propri limiti in termini di rosa ed esperienza, prova a gettare il cuore oltre l’ostacolo e sfiora un’impresa storica.
Nel day after, la sensazione è un misto di emozioni positive e negative, che si fondono creando un mix difficile da descrivere. L’orgoglio nei confronti una squadra che non si è arresa fino all’ultimo, concludendo la gara ai rigori e con le forze fisiche e mentali ridotte a zero. L’amarezza per gli infortuni, e in particolare per quello di Nuno Tavares, calciatore che è ormai lontano parente di quello apprezzato nei primi mesi della stagione e alle prese con una serie infinita di stop muscolari che lo rendono nuovamente fuori uso in un momento cruciale della stagione. Un altro problema fisico che spinge a delle riflessioni sulla possibile conferma del terzino portoghese in vista della prossima stagione: ok il riscatto, ma vale davvero la pena resistere ad eventuali tentazioni milionarie e offerte di top club? La risposta in questo momento è no.
C’è un po’ di rabbia mischiata alla delusione per alcune scelte di Baroni, in particolare al momento di selezionare i rigoristi (ma è buona usanza degli allenatori affidarsi alle sensazioni dei calciatori) e della società nella costruzione della rosa, con l’attacco che continua a mancare in alcuni singoli e alcuni di questi che - ad aprile inoltrato - ora possono tranquillamente essere giudicati come acquisti flop.
Gli errori dagli undici metri rappresentano solo l’ultima tappa di un calvario che dura praticamente da inizio stagione per Noslin e Tchaouna. L’ex Verona firma il 2-0 e regala i supplementari ai biancocelesti, è vero, ma nella sua annata spiccano finora molte più note dolenti rispetto a quelle liete, riconducibili alla sola tripletta in Coppa Italia contro il Napoli e al goal col Torino. Poi il vuoto totale, proprio come la stagione di Tchaouna. Il francese non è mai capace di incidere e spesso, al contrario, è apparso fuori contesto e spaesato. Un problema da 23 milioni di euro - 15 per Noslin e 8 per Tchaouna - e un attacco che si è dovuto aggrappare al sempreverde Pedro nel momento di difficoltà assoluta per l’infortunio di Castellanos. Cifra alla quale si aggiungono anche gli oltre 11 milioni messi sul piatto per Dia, calciatore che dopo un ottimo avvio sta vivendo un periodo di profonda crisi e di flessione di rendimento, che sta pesando non poco sui risultati della Lazio.
La squadra di Baroni ‘sbatte’ sugli investimenti estivi in attacco e la loro scarsa capacità realizzativa in diverse occasioni. Sliding doors che hanno cambiato la storia della stagione dei biancocelesti, come nel caso dell’errore di Dia a Venezia o di quello di Noslin nel recupero del derby. Un problema non da poco che la società dovrà risolvere in estate, a patto che voglia far crescere il livello della squadra e puntare ancora più in alto.
Orgoglio, dicevamo. Lotito nel pre-partita e Baroni e Zaccagni nel post ci tengono a ribadire il concetto. E non può essere diversamente. Il risultato e la fortuna voltano le spalle alla Lazio, che gioca 70 minuti d’alto livello, come fatto nella passata stagione in Champions League. L’Olimpico luccica, come nella notte contro il Bayern Monaco di San Valentino 2024, ma questa volta non la risolve Immobile. Isaksen fa il solito grande lavoro a destra, il Taty Castellanos colpisce alla prima occasione utile col tacco e Zaccagni è molto attivo dall’altra parte, sfiorando il raddoppio con la sola traversa a fermarlo. Ma quando serve linfa, qualità e idee dalla panchina, ecco che vengono alla ribalta tutti i limiti.
L’argentino, però, ha sulla coscienza qualche errore di troppo, che costerà caro nel discorso qualificazione. La pressione e la voglia di fare giocano un brutto scherzo, proprio come nel finale, quando il Taty decide inspiegabimente di calciare il rigore nonostante un finale di gara da fermo per i crampi. “Se la sentiva” ha spiegato Baroni dopo la gara. Una scelta che però appare superficiale quanto insensata. Così come quella di far calciare Tchaouna, anche ieri sera evanescente e mai decisivo. Una decisione che mostra i limiti sia dei calciatori coinvolti ma soprattutto di un allenatore e di uno staff tecnico che nel momento chiave della gara più importante della stagione si lascia sopraffare e non si impone, finendo in balìa degli eventi.
La Lazio si aggrappa a Mandas e Guendouzi, due giganti. Il portiere greco è ancora decisivo con la parata a tempo scaduto su Helmerson, prima di dire la sua anche nella lotteria finale dei rigori, mentre il francese è davvero l’uomo in più di questa squadra: motorino perpetuo, è sempre nel vivo dell’azione, in entrambe le fasi, ed è l’ultimo a mollare. “Dobbiamo tirare fuori gli attributi” grida, come rivela Sky Sport, a compagni e staff al rientro dagli spogliatoi. E non è difficile immaginare che dietro la rabbia del francese ci sia la scelta dei rigoristi. Una sensazione e un’ipotesi da non scartare. Un attacco ad alcuni compagni che hanno scelto di non calciare e hanno preferito lasciare il pesante compito ad altri.
Per la Lazio ci sono diverse sliding doors dopo la sfida contro il Bodo/Glimt, ma certamente qualcuna è più significativa di altre. Come nel caso dell’infortunio di Nuno Tavares: doppio cambio e doppio slot nel ruolo, perso nuovamente il treno portoghese e soprattutto la prestazione di Hysaj, che entra come peggio non potrebbe e si perde Helmerson sul goal dell’1-3. Un qualcosa di inspiegabile che aumenta il rammarico per la scelta di inserire nella lista l’ex Napoli e non Luca Pellegrini.
Dopo una notte come quella dell’Olimpico, in cui la prestazione della Lazio è stata generosissima, il rammarico resta per la gara d’andata, dove al netto delle difficoltà la squadra di Baroni è sembrata non presentarsi proprio sul campo dl Bodo. E la differenza nel discorso qualificazione l’ha fatta proprio la capacità della squadra norvegese di restare in partita anche nel momento di smarrimento totale.
Una menzione per Knutsen non può mancare. Nel doppio confronto la sua squadra ha dimostrato di tenere testa alla Lazio, ma certamente l’atteggiamento antisportivo del tecnico e di alcuni suoi calciatori resta un grave macchia da non cancellare. Brutti episodi, come quello dell’allontanamento del pallone da parte del tecnico e delle scenate di alcuni suoi ragazzi salvo poi rialzarsi con il possesso della palla, rappresentano l’immagine più errata e controproducente possibile per questo sport. Un qualcosa da cancellare e da educare, indipendentemente dai risultati del campo e dai meriti sportivi.