Calciomercato.com

  • Messi e il bambino con la maglia a righe

    Messi e il bambino con la maglia a righe

    • Marco Bernardini
    Il bambino ha gli occhi grandi e addosso porta una maglietta a righe. Non di lana e manco di cotone. Di plastica, come quella per i sacchetti della spesa. La casacca ha i colori delle nuvole quando sono bianche come il latte e del cielo quando è celeste come il paradiso. Peccato che il bimbo, però, sia nato all’inferno e della vita conosca soltanto giorni scanditi dai colpi di kalashnikov, dai fumi lontani di villaggi in fiamme da notti trascorse sveglio e tremante per la paura che all’improvviso dal buio compaiano gli orchi cattivi. Murtaza, questo è il suo nome, è uno dei tanti ragazzini che non ha conosciuto un solo giorno di pace in terra. Il suo piccolo villaggio, Ghazninnell’estremo sud dell’Afghanistan, è proprio in mezzo ad un vortice chiamato follia. Da una parte le montagne dove si nascondono i talebani e dall’altra la piana sconfinata dove pattugliano i carri armati dell’esercito regolare. In qualche modo anche lì, nella terra della sragione, arriva il segnale del satellite che permette di vedere la televisione. Sicchè Murtaza e i suoi amichetti hanno imparato a conoscere un gioco che si chiama calcio attraverso le immagini che sembrano arrivare da un pianeta lontano. Così con un pallone di quelli che l’Adidas manda ai Medici Senza Frontiere (forse per farsi perdonare lo sfruttamento dei bambini terzomondisti) i pomeriggi possono passare più in fretta.

    Negli occhi grandi del bambino con la maglietta a righe c’è disegnato un volto al quale fa da sfondo un grande sogno. E’ il viso, anche quella da bambino, di Lionel Messi.  Il campione che lui ha eletto come il suo eroe preferito e invincibile. Tant’è il nome e il cognome del “Pallone d’oro” stanno scritti con il pennarello sul dorso di quella casacca biodegradabile con i colori dell’Argentina, un Paese così lontano che il ragazzino fatica persino a immaginare. Murtaza ha cinque anni ma ha già imparato a leggere e a scrivere. La prima cosa che ha fatto è stata quella di preparare una letterina per il suo idolo. Poi l’ha consegnata alla maestra che è una suora laica. Come si fa per chiedere i doni  Babbo Natale. “Vorrei tanto conoscerti e poter giocare con te” è la preghiera che, in qualche modo, parte via Internet e fa il giro del mondo. Oggi, in Rete, Muztar è diventato famoso come un divo americano anche perché Messi gli ha risposto facendo sapere che, presto ma molto presto, si incontreranno in Catalogna dove il presidente della Federazione Calcio di Kabul accompagnerà il bambino. Potrebbe essere, questo, il finale di una bella e incredibile storia. Sarebbe stupendo se, invece, fosse l’inizio di tante e sinili cronache vere.

    Qualche mese fa, per tentare di dare un senso un attimo più serio e profondo alla mia vita, ho aiutato l’ amico versiliese Antonio Giannelli a mettere in piedi una struttura che si chiama “I colori per la pace”. In breve, si trattava di riunire i disegni realizzati a mano dai bambini delle elementari e delle medie di tutto il mondo e in particolare di quelli che vivono nelle zone calde del pianeta. Un’impresa che pareva folle ma che, grazie anche all’intervento delle varie ambasciate e consolati, è andata secondo i desideri. Il frutto di questa “mostra planetaria” che sta girando per il mondo, se volete, la potete trovare in Rete sotto la voce “Colori per la pace”. Potrete vedere  che i soggetti scelti dai ragazzini per i loro disegni sono fondamentalmente due: uomini mascherati che sparano e bambini che giocano al pallone. Le due facce della vita di tutti i giorni per l’immaginario collettivo di queste  anime fragili.

    Odio la retorica e trovo aberrante il pietismo peloso, così come giudico inutili gli appelli generici e abusati alla bontà e alla pacificazione. Ma non c’era retorica e neppure pietismo nel gesto compiuto dai calciatori greci che si sono fermati e che sono seduti sul prato per lasciarsi riprendere dalle telecamere di tutto il mondo mentre manifestavano a favore dei nuovi dannati della terra che sono gli immigrati in fuga dalla guerra. Così come non è assolutamente formale la scelta che Messi (“Cuore d’oro più che non Pallone”) ha deciso di operare individuando nel ragazzino afgano tutti i bambini perseguitati del mondo. Uno schiaffo, sonoro e meritato, sul viso di un certo nostro calcio che, sempre più spesso, si lascia “tele vedere” mentre mostra il dito medio o mentre si riempie la bocca di insulti vergognosi in primo luogo per chi li pronuncia. E, amici di Calciomercato.com, questa volta non dite che tutto ciò con il pallone non c’entra.
     
     

    Altre Notizie