
Napoli, questo Scudetto non è un miracolo. E non è nemmeno la più grande impresa di Conte
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Succede anche oggi, ovviamente. Dove a svettare pressoché ovunque è la celebrazione del fenomeno Conte. Mediamente, secondo i nostri simpatici luminari, una specie di incrocio tra San Gennaro e Phil Jackson, un po' santo un po' santone, in ogni caso un uomo autore di un miracolo. Forse il più grande di sempre.
Lo stesso concetto che, spoiler alert, potremmo rivedere proposto - ma al contrario - tra una settimana; nella malaugurata sorte che Simone Inzaghi esca sconfitto anche da Monaco di Baviera. Sarebbe un gran perdente, ovviamente. Già me lo vedo il refrain mourinhano... "Eh si bella stagione, ma zeru tituli, Inzaghi non è un vincente". Perché questo è quello che troverete tra sette giorni in caso di sconfitta dell'Inter col PSG. Potete scommetterci il budget per le vacanze.
Ecco, in questo demenziale modo di comunicare, il sottoscritto vuole umilmente proporvi una modesta teoria quasi eretica per l'intellighenzia che guida il discorso: quello di Conte è senza dubbio un grande successo, ma non è certo un miracolo. E attenzione alla bestialità che segue: non è nemmeno la sua impresa più complicata.
"Ooooooh ma ha vinto a Napoli!". Embè? Spalletti l'ha fatto due anni fa. E l'ha fatto tipo già a febbraio, giocando il miglior calcio d'Europa insieme al Manchester City.
"Ooooooh ma gli hanno venduto Osimhen e Kvara". Embè? E gli hanno fatto una campagna acquisti da 150 milioni, per una squadra che non giocava nemmeno le coppe. Voleva Buongiorno, McTominay e Lukaku. Ha avuto Buongiorno, McTominay e Lukaku.
"Eeeeeeeeh ma gli si sono infortunati in tanti". Embè, agli altri no? L'Inter non ha dovuto fare a meno a lungo di Thuram o giocare tante partite col francese a mezzo servizio? E La Juventus non ha perso il suo miglior giocatore a ottobre per tutta la stagione?
Attenzione, qui nessuno vuole sminuire il trionfo del Napoli e i meriti di Conte. Sarebbe ovviamente una pura idiozia. Si vuole casomai sostenere l'esistenza della famosa scala di grigi: quello di Conte a Napoli è un grandissimo successo, ma non è certo un miracolo.
Non lo è perché un bel pezzo della rosa, lo Scudetto, a Napoli, l'aveva già vinto.
Non lo è perché in estate Conte ha avuto ciò che chiedeva.
Non lo è perché la stagione dei partenopei, per due mesi - febbraio e marzo - è stata quella di una squadra che ha ampiamente sottoperformato rispetto agli stessi standard soliti delle squadre di Conte.
Non lo è perché ha vinto lo Scudetto giocando 20 partite in meno dei diretti avversari. E questa cosa non può passare in secondo piano; non se a farti vincere è un rigore di Pedro a tempo scaduto mentre tu strappi uno scialbo 0-0 sul campo di una squadra che lotta per non retrocedere.
Non lo è perché il Napoli ha segnato 20 goal in meno del miglior attacco, chiudendo la stagione sotto quota 60 reti. L'ultima volta che si era vista una cosa del genere in Italia era la fine degli anni '90, il Milan di Zaccheroni. Il paleolitico in confronto a come si gioca e quanto si segna oggi.
Ecco perché non c'è niente di clamoroso nel successo di Conte, allenatore che si conferma come serial winner. Quello che c'è da fare, casomai, sono i complimenti per aver confermato ancora una volta un refrain della sua carriera: essere riuscito ad attuare anche a Napoli ciò che potremmo definire ‘la sua promessa’. La promessa di porre delle fondamenta; la promessa di portare tutti a remare dalla stessa parte per un obiettivo comune. La promessa di impegno e sudore senza alcun risparmio. In quello sì che è riuscito anche sotto il Vesuvio. Ma qualcuno aveva seriamente dei dubbi a riguardo?
Ecco, casomai, oggi, si possono fare appunto i complimenti per esserci riuscito ancora una volta. Per aver attecchito con le sue idee anche in una città dove, quello sì, è più complicato vincere. Ma di fronte a un'Inter che impegnata su tre competizioni quasi fino alla fine ha lasciato tantissimi punti, quello di essere stato lì presente a lottare, per Conte e per le sue qualità che tutti conosciamo, era quasi un obbligo morale.
Anche perché, le imprese, vere, sono altre. Ci sono infatti almeno 3 gestioni più complicate e sorprendenti dell'eccezionale tecnico salentino. Ve le espongono nella mia personale Top3. Poi, piazzatele voi dove di pare.
3. La Juventus campione d'Italia 2012. Quella raccolta sì dalla strada; e non dal decimo posto 'farlocco' del Napoli dello scorso anno, che in squadra oggi ha per metà i campioni d'Italia del 2023. La Juventus delle macerie di Jean Claude Blanc e Cobolli Gigili; e della prima e super fallimentare campagna acquisti di un "giovane" Beppe Marotta sotto Andrea Agnelli, con gente come Eljero Elia o Milos Krasic. Conte vinse da imbattuto. 38 giornate senza sconfitta. Protagonisti decisivi sul campo una serie di giocatori del calibro di Paolo De Ceglie, Marcelo Estigarribia, Simone Pepe, Emanuele Giaccherini, Simone Padoin, Marco Borriello, Mirko Vucinic e così via dicendo. Dietro, il Milan di Allegri con Thiago Silva, Zlatan Ibrahimovic (unico Scudetto non vinto dallo svedese nella sua carriera), Antonio Cassano e un Antonio Nocerino che in mezzo a sti fenomeni chiuse la stagione di Serie A in doppia cifra, a quota 10 goal.
2. Il Chelsea campione d'Inghilterra 2017. Il tecnico mette il sedere su una panchina di Premier League per la prima volta in carriera e arriva davanti a gente come Guardiola, Klopp, Mourinho e Pochettino. Con tutto il rispetto per i prossimi in elenco, non esattamente Inzaghi, Gasperini e Motta/Tudor. E lo fa da assoluto outsider, nel campionato più difficile e competitivo al mondo, senza conosce la lega e a stento abbozzando un principio basilare di lingua. E rivitalizzando scarti assoluti del Chelsea, su tutti il redivivo Victor Moses, che in quell'estate 2016 a Cobham passò quasi per caso e che nel maggio successivo fu incoronato come uno dei migliori giocatori della Premier League. Conte fece 30 vittorie su 38 partite. 85 goal fatti. 93 punti.
1. L'Italia dell'Europeo 2016. Perché delle sconfitte non si ricorda quasi nessuno, ma sarebbe compito di chi si occupa di calcio farlo. Conte prese la nazionale più povera di talento degli ultimi 50 anni e la portò a tanto così dalla semifinale dell'Europeo, prima eliminando la Spagna agli ottavi con un capolavoro di intensità e tattica e poi a mettendo una paura folle alla Germania campione del mondo in carica, la stessa squadra che due anni prima aveva dato 7 gol in casa ai brasiliani nella semifinale mondiale. Questa in particolare merita di essere ricordata nel dettaglio perché l'Italia, al di là della BBC - Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini - scese in campo dal centrocampo in su, contro i tedeschi, con la seguente formazione: Florenzi, Sturaro, Parolo, Giaccherini, De Sciglio; Eder, Pellé. E se Pellé avesse segnato il suo rigore, gli Azzurri avrebbero avuto 3 chance consecutive per andare in semifinale: un errore della Germania sul quarto tiro dal dischetto; un gol dell'Italia sul quinto tiro; un errore della Germania sul quinto tiro. E no, non è una questione di 'se', ma semplicemente il fatto di aver in sostanza eliminato due squadre tecnicamente due volte superiori ai nostri valori: la Spagna a casa per davvero, la Germania a un singolo tiro dal farlo. A oggi, quella, la più grande - e dimenticata - vera impresa di Antonio Conte.
Ci perdonerete, allora, se quest'oggi abbiamo deciso di tirare fuori la tavolozza dei colori e mettere i puntini sulle 'i' al discorso inquinato di questi tempi. Perché no, ma proprio no, quello di Conte a Napoli non è il mirabolante miracolo di cui tutti vi vanno narrando. Casomai, il successo in una stagione di Serie A non particolarmente elevata per i valori espressi là in alto. Un grigio, insomma. Scegliete voi quale.
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Infatti, è un nostro regalo. Il secondo dopo quello regalato a quell'altra squadraccia tre anni f...