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Brocchi: "Non allenerò più. Mai stato un lecchino e mai sfruttato Berlusconi, avessi vinto la Coppa Italia col Milan..."
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GLI INIZI - "Sono partito da Buccinasco senza una lira e ho vinto due Champions. Mi sentii giocatore vero solo dopo la prima stagione in A con il Verona. Il campionato era bellissimo, ogni squadra aveva il suo nucleo italiano. Adesso rabbrividisco quando vedo formazioni con dieci o undici stranieri. Avevo tante richieste, andai all’Inter dove vissi la stagione peggiore della carriera a causa di un problema alla schiena che mi fermò per tanti mesi".
DALL’INTER AL MILAN - "Non la presi bene: ero amico di Vieri e Di Biagio e volevo giocarmela lì. Ma non mi fu data la possibilità di scegliere: arrivai una mattina alla Pinetina ed era tutto fatto. Però era una rivincita perché il Milan, dopo tanti anni nel settore giovanile, non aveva creduto in me. E poi invece mi acquistò".
RITAGLIARSI UN POSTO IN UN CENTROCAMPO DI CAMPIONI - "Con l’intelligenza e l’umiltà di capire come essere utile. Ho giocato sempre titolare prima e dopo il Milan, ma lì dovevo trovarmi uno spazio diverso e nobilitarlo. Ci riuscii e lo dimostrano le presenze. Io sono stato bene dappertutto, però lo spogliatoio di Milanello era un sogno: clima unico, amici veri".
CHAMPIONS 2003 - "L’emozione più grande è l’euroderby: atmosfera incredibile a San Siro. Ma contro l’Ajax segnai un gol non visto: palla dentro di mezzo metro. Non lo ricorda nessuno perché poi vincemmo 3-2, ma se fosse finita 2-2 Galliani avrebbe mostrato l’immagine di quel gol insieme a quello di Muntari. La Champions è l’unica manifestazione in cui non ho segnato, a causa di quell’errore arbitrale".
RAPPORTO CON BERLUSCONI - "Se c’è una cosa che mi ha fatto male, è sentirmi definire come il suo lecchino. Credo che il presidente apprezzasse di me l’esatto contrario: non ho mai cercato di sfruttare la stima che aveva nei miei confronti. Berlusconi vedeva in me quello che avrebbe voluto vedere in ogni ragazzo del settore giovanile: umiltà e voglia di raggiungere gli obiettivi. Io sono stato formato dal Milan: se ho questa mentalità vincente, lo devo al club. Fui il primo acquisto di Tare alla Lazio proprio per questo motivo: “Ti voglio perché devi portare nel club la mentalità che hai maturato nel Milan”, mi disse. E il primo anno conquistammo la Coppa Italia".
LA PANCHINA DEL MILAN - "L’avevo già detto l’anno prima, quella sera non era possibile. Quando entravi ad Arcore, l’emozione era forte. C’era un’aria particolare. Uscivi da lì ed eri un leone. Berlusconi aveva la capacità di farti sentire in grado di conquistare il mondo. Subentrai a Mihajlovic e il piano era che avrei anche iniziato la stagione seguente. Girò male perché perdemmo ai supplementari per il gol di Morata la finale di Coppa Italia contro la Juve, pur giocando bene. Se avessimo vinto quella sera, la mia storia sarebbe stata diversa".
PROMOZIONE COL MONZA - "Sì, anche se avrei voluto completare il lavoro con il doppio salto. Invece in B perdemmo ai playoff. Se Galliani non si fosse ammalato di Covid e non avesse vissuto un mese molto difficile, saremmo andati in A. Eravamo tutti preoccupati per lui e la sua assenza ebbe un peso specifico importante anche sulla squadra: Galliani è tra i due o tre dirigenti più bravi al mondo. La sua presenza sposta tanto".
FUTURO - "Ho tanto da trasmettere, da insegnare. Ma non in panchina: non allenerò più. Questo è un mondo in cui umanamente do troppo di più rispetto a quello che ricevo. Io ho dimostrato di essere bravo e me lo dico da solo proprio perché ho voltato pagina. Non ho più voglia di buttarmi in situazioni disperate. Pochi mesi fa c’era stata una possibilità in A e ho sentito un fuoco dentro incredibile. Ma non si è concretizzata. E mi sono concentrato sui ragazzi: io li amo, mi piace stare a contatto con i giovani. Faccio masterclass con il gruppo Pegaso. L’ultima era rivolta a studenti di Scienze motorie che vorrebbero entrare nello staff di una squadra di calcio".