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  • Pietro Anastasi: gli anni d'oro alla Juve, la dolorosa cessione all'Inter e la rivincita al Comunale, tutti in piedi!

    Pietro Anastasi: gli anni d'oro alla Juve, la dolorosa cessione all'Inter e la rivincita al Comunale, tutti in piedi!

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    Siamo nell’aprile del 1966.
    Alfredo Casati è il più importante dirigente del Varese
    Football Club, squadra che milita nella massima serie del calcio italiano.
    Ha appena visto la sua squadra perdere nettamente al Cibali contro i padroni di casa del Catania.
    E’ l’ennesimo colpo alle speranze del club lombardo di rimanere in Serie A.
    E’ pronto per tornare a casa, rimuginando sulla precaria situazione della squadra del Presidente Giovanni Borghi, facoltoso imprenditore nel settore elettrodomestici.
    Quando arriva all’aeroporto “Fontanarossa” della città nota un certo scompiglio.
    C’è una signora in avanzato stato di gravidanza che sta piangendo disperatamente perché non è riuscita a trovare un posto su quell’aereo con destinazione Milano.
    Chiede aiuto agli addetti.
    «Signora, ci dispiace ma non c’è più un posto libero su questo volo».
    Casati ha assistito alla scena.
    Si avvicina alla signora evidentemente affranta e in lacrime.
    «Tenga il mio biglietto signora. Io non ho nulla di così urgente che mi attende».
    Casati torna in albergo.
    E’ quasi ora di pranzo.
    Va al bar e chiede un aperitivo.
    Il barista lo riconosce.
    «Dottore, visto che deve fermarsi un giorno in più perché oggi non fa un salto a vedere la “Massiminiana”?
    E’ solo una partita di serie D ma c’è un ragazzetto che le farà luccicare gli occhi tanto è bravo!»

    Quando arriva al Cibali Casati non crede ai suoi occhi.
    Il giorno prima per Catania v Varese c’erano poco più di 5 mila persone ... per il derby “Massiminiana v Paternò di serie D ce ne sono più di 20 mila!
    Il suo stupore è però solo all’inizio.
    Quello che vede in campo è uno spettacolo autentico.
    Il ragazzino indicatogli dal barista è un’autentica iradiddio.
    E’ velocissimo, non ha paura di nulla, si muove su tutto il fronte d’attacco, dialoga con i compagni e non lascia un attimo di respiro alla difesa avversaria.
    Casati a fine partita si precipita negli spogliatoi.
    Poche ore dopo Pietro Anastasi diventerà un calciatore del Varese Football Club.
    La sua meravigliosa parabola inizia quel giorno ... il giorno che fa incontrare Alfredo Casati con una signora in cinta e un barista che capisce di calcio.
     

    Pietro Anastasi lascia Catania e arriva a Varese nell’estate del 1966.
    Ha appena compiuto diciotto anni
    ma capisce subito di essere arrivato nel posto giusto.
    Nonostante la fresca retrocessione dalla Serie A la società del Presidente Borghi, proprietario dell’IGNIS, società all’avanguardia nel proprio settore, non ha nessuna intenzione di smobilitare.
    Anzi, l’obiettivo dichiarato è quello di tornare al più presto nella massima serie.
    Dalla Roma arriverà Lamberto Leonardi che con Pietro Anastasi formerà un’eccellente coppia offensiva e una bella amicizia fuori dal campo.
    In quel Varese oltre alla “bandiera” Pietro Maroso ci sono Riccardo Sogliano, il portiere Mario Da Pozzo e un giovane e promettente difensore di nome Franco Cresci.
    Il Varese raggiungerà il suo obiettivo.
    Pietro farà appieno la sua parte giocando, e non sarà certo l’ultima volta in carriera, come “spalla” dell’attaccante principale ovvero l’amico Leonardi che chiuderà la stagione con undici reti, le dieci di Antonio Renna (il “Garrincha dei poveri”) e le sei dello stesso Pietro garantiranno il ritorno nella massima serie.
    Nella stagione successiva, con l’arrivo di Bruno Arcari sulla panchina dei lombardi, arriva anche un autentico “mostro sacro” del calcio italiano: quell’Armando Picchi, capitano della grande Inter e che a causa dei continui screzi con il “Mago” Helenio Herrera ha accettato il trasferimento in provincia.
    Arcari e Picchi saranno due figure fondamentali nella maturazione calcistica di Pietro Anastasi.
    «Mi insegnarono come muovermi in campo, come dettare un passaggio al momento giusto e<< come imparare a gestire le energie nell’arco dei novanta minuti» ha sempre ricordato con riconoscenza lo stesso Anastasi.
    In quella stagione d’esordio nella massima serie Pietro segna ben undici reti.
    E’, insieme al milanista Pierino Prati, la grande rivelazione di quel torneo.
    Su di lui si scatena l’interesse dei grandi club del nord.
    Tra Juventus e Inter inizia una battaglia senza esclusione di colpi immediatamente dopo la fine del campionato.
    Ad un certo punto pare che a spuntarla siano in nerazzurri
    in considerazione degli eccellenti rapporti tra Italo Allodi, general manager dell’Inter e il patron Borghi.
    Pietro veste addirittura la maglia nerazzurra in occasione di un’amichevole con la Roma.
    Anastasi segna due gol ma quando torna negli spogliatoi arriva una sorpresa di quelle che ti lasciano senza fiato.
    Pietro incrocia un fotografo di sua conoscenza.
    «Pietro ... ma cosa ci fai qui? Tu sei un giocatore della Juve!» gli spiega il fotografo dandogli tutti i dettagli dell’operazione chiusa poche ore prima.
    Anastasi rimane completamente spiazzato.
    Lui di tutto questo è completamente all’oscuro.
    E’ accaduto che Gianni Agnelli, patron dei bianconeri, ha in testa questo ragazzo da diversi mesi.
    Esattamente dal 4 febbraio di quel 1968 quando la sua Juve è stata demolita dal Varese per cinque reti a zero ... e quel “picciotto” siciliano fu l’autore di ben tre di quelle reti.
    Per il suo cartellino l’avvocato metterà sul piatto un assegno di 650 milioni di lire (più centinaia di “motorini” per i frigoriferi dell’Ignis di Borghi!) che faranno del ventenne catanese il calciatore più costoso di tutto il pianeta.
    L’inizio di “Pietruzzu” con i bianconeri è di grande impatto, almeno dal punto di vista personale.
    Segna quattordici reti nella prima stagione e addirittura quindici in quella successiva.
    Ma è una Juventus con diversi calciatori a fine ciclo e che ha assoluta necessità di riorganizzarsi fuori e dentro il campo.
    Nell’estate del 1970 la “rivoluzione” è avviata.
    Sulla panchina della Juventus siede il giovane Armando Picchi
    , che pur avendo da pochissimo appeso gli scarpini al chiodo, ha la piena fiducia della dirigenza.
    Con lui arrivano dei giovanotti su cui la dirigenza della Juve è pronta a scommettere.
    Si chiamano Fabio Capello e Luciano Spinosi ai quali si aggiungono Franco Causio di rientro dal prestito al Palermo e Roberto Bettega, direttamente dal settore giovanile.
    I piani della Juventus vengono messi a dura prova quando Armando Picchi, colpito dalla terribile malattia che pochi mesi dopo lo porterà alla morte a soli trentacinque anni, dovrà rinunciare all’incarico. Al suo posto arriva Čestmír Vycpálek, che darà continuità al progetto con la sua sapienza calcistica e la sua esperienza.
    L’anno della svolta sarà quello successivo.
    La Juventus dei giovan
    i (ai quali si è aggiunto anche il sardo Antonello Cuccureddu) trionfa in campionato.
    Per Pietro saranno diciotto reti complessive in stagione e sarà uno dei protagonisti assoluti specie nel finale di stagione quando la malattia costringerà ai box il suo compagno di reparto Roberto Bettega.
    Ancora meglio andrà nella stagione successiva dove la Juventus sfiorerà una clamorosa “tripletta”.
    Alla vittoria in campionato faranno infatti seguito due finali di Coppa.
    Quella dei Campioni
    contro l’Ajax di Cruyff, Rep, Krol & co. e quella nazionale proprio contro quel Milan che la Juve ha superato sul filo di lana all’ultima di campionato.
    Saranno due dolorose sconfitte ma che non possono fare altro che rafforzare la convinzione in società e tra i tifosi che per la “Vecchia Signora” del calcio italiano si prospetta un futuro ai vertici del calcio nazionale ed europeo.
    Nella stagione 1973-74 arriva invece un brusco passo indietro. Un secondo posto in campionato ma soprattutto una precoce quanto inattesa eliminazione al primo turno in Coppa dei Campioni contro i tedeschi dell’Est della Dinamo Dresda.
    Troppo poco per la sempre più giustamente ambiziosa dirigenza bianconera.
    Sulla panchina torna a sedersi, a dodici anni di distanza, Carlo Parola.
    A Pietro Anastasi viene affidata la fascia di capitano.
    In realtà l’idillio con Parola dura molto poco.
    Ben presto iniziano quelle turbolenze che meno di due anni dopo costringeranno Pietro a lasciare l’amata Juventus.
    E’ l’11 dicembre del 1974. La Juventus è attesa dalla partita di ritorno contro l’Ajax valevole per gli ottavi di finale di Coppa Uefa. All’andata la Juve si è imposta per una rete a zero ma il ritorno ad Amsterdam non è certo una formalità.
    Poco prima dell’incontro Pietro Anastasi “si chiama fuori”.
    E’ infortunato e a corroborare la sua tesi che anche il referto del Dott. La Neve, medico sociale del club. Parola va su tutte le furie accusando Anastasi di essere pavido ed egoista.
    Tra i due nasce una violenta lite che non avrà altro risultato che quello di confinare in panchina il capitano juventino per diverse partite.
    La situazione migliora solo in apparenza e per il “bene comune” di una squadra che sta lottando per il titolo. Il 27 aprile al Comunale si gioca la quart’ultima partita di campionato. Dopo il mezzo passo falso di Cagliari (uno a uno con il gol del pareggio di Altafini nei minuti finali) contro la Lazio non si possono perdere altri punti che potrebbero rimettere in gioco il Napoli, principale antagonista dei bianconeri.
    Pietro Anastasi è in panchina. La Juve sta vincendo per una rete a zero ma la Lazio si dimostra tutt’altro che arrendevole. Con il risultato ancora in bilico Parola si decide, a venti minuti dalla fine, di mettere in campo l’attaccante siciliano.
    Anastasi troverà la maniera migliore per rispondere alle polemiche e al sempre più evidente ostracismo di Parola segnando tre reti in meno di sei minuti tra l’83mo e l’88mo.
    Già al termine di quel campionato si parla di un possibile scambio con il Bologna con Beppe Savoldi in bianconero e Pietro nel capoluogo emiliano.
    Non se ne farà nulla.
    “Pietruzzu” rimarrà alla Juve ma per lui sarà una stagione infelice e complicata con lo scudetto che finirà sulle maglie dei rivali concittadini del Torino e il suo contributo limitato a sedici partite e un solo gol.
    E’ evidente che il suo ciclo a Torino è finito ma nessuno può immaginare quello che sta per accadere che finirà di diritto tra le operazioni di mercato più sorprendenti della storia del calcio italiano.
    L’Inter, che non ha mai smesso di avere Anastasi nel mirino, si fa sotto.
    Propone alla Juventus lo scambio con l’ormai trentatreenne Roberto Boninsegna aggiungendo un importante conguaglio in denaro.
    La Juventus accetta e sarà proprio la “vecchia signora” del calcio italiano ad aver fatto la scelta migliore.

    Mentre Pietro Anastasi stenterà a ritrovare il suo smalto con i nerazzurri “Bonimba” vivrà a Torino una seconda giovinezza conquistando alla sua prima stagione in bianconero campionato e Coppa UEFA.
    L’Inter non sarà un capitolo felice della carriera dell’attaccante catanese. Due stagioni anonime, con pochi gol e tante prestazioni anonime.
    Pietro pare aver perso quello scatto bruciante sul quale aveva costruito gran parte delle sue fortune come calciatore.
    Quando nell’estate del 1978 viene ceduto all’Ascoli Anastasi ha solo trent’anni ma il famoso viale del tramonto sembra già imboccato.
    Gioca una prima stagione discreta con i marchigiani che chiudono con un onorevole decimo posto.
    E’ in quella successiva che Pietro Anastasi riuscirà a dare un’ultima dimostrazione del grande attaccante ammirato in passato.
    Gioca un’eccellente stagione contribuendo in maniera importante al sorprendente quarto posto finale in campionato dei marchigiani.
    Sarà il suo “canto del cigno” visto che un brutto infortunio lo costringerà a saltare trequarti della stagione successiva, l’ultima di Pietro Anastasi nel calcio italiano.
     
    ANEDDOTI E CURIOSITA’
     
    L’idolo assoluto di Pietro Anastasi da ragazzino era John Charles, il gigante gallese che faceva coppia in attacco con Omar Sivori nella grande Juventus di fine anni ‘50/inizio ’60.
    Fino agli ultimi giorni della sua vita nel portafogli “Pietruzzu” ha sempre conservato come una reliquia la foto scattata al Cibali dove Pietro, orgoglioso e sorridente, entra nelle vesti di raccattapalle sul terreno di gioco insieme al suo adorato Charles.
     
    Il soprannome affibbiato ad Anastasi da ragazzo era “u turcu”.
    Fu lo stesso Anastasi a spiegarne il motivo.
    «Avevo già una carnagione scura ma d’estate diventavo veramente scurissimo anche per i parametri della gente della mia regione. E così mi diedero quell’appellativo».
     
    Alla sua seconda stagione al Varese e la prima per Pietro in Serie A le sue prestazioni sono tali che Ferruccio Valcareggi decide di inserirlo tra i ventidue azzurri che parteciperanno alla fase finale degli Europei.
    In panchina nel primo match contro l’Urss, Anastasi farà il suo esordio nella prima finale con la Jugoslavia che finirà con un pareggio. Nella ripetizione disputata due giorni dopo sarà uno dei pochi che manterrà il posto in squadra. Anastasi ripagherà la fiducia del selezionatore azzurro segnando il secondo gol della vittoriosa finale con un bellissimo gol in girata dal limite dell’area di rigore.
     
    Quando arriva la notizia del suo trasferimento alla Juventus Pietro rimane inizialmente spiazzato.
    «Mi ero appena fidanzato con Anna, la mia futura moglie e il mio trasferimento all’Inter mi avrebbe permesso di rimanere a Varese dove stavo come un papa. Poi pensai che si stava parlando della Juventus, la squadra per la quale facevo il tifo fin da bambino.
    Anna mi seguì a Torino e insieme formammo la nostra famiglia. Fu la scelta più azzeccata della mia vita».
     
    L’amore dei tifosi bianconeri per Pietro Anastasi va ben oltre il semplice significato sportivo. Lui, il ragazzino arrivato dal Sud che ce l’ha fatta diventa il simbolo per tutti i padri di famiglia arrivati dal Sud in cerca di un lavoro e di una vita dignitosa per loro e per i propri cari.
     
    La FIAT diventa ben presto una delle aziende dove questa opportunità si trasforma in realtà. Pietro Anastasi sarà ben presto seguito da altri ragazzi del Sud come il suo conterraneo Giuseppe Furino, il pugliese Franco Causio e il sardo Antonello Cuccureddu.
     
    Altra dimostrazione d’amore e di illimitata stima dei tifosi bianconeri fu il cartello che per anni venne esposto al Comunale in onore di Anastasi e che rappresentava il massimo riconoscimento per un calciatore all’epoca: Pietro Anastasi il “Pelé bianco”.
     
    L’addio di Pietro alla “sua” Juventus fu come detto di grande sofferenza. Il suo orgoglio rimase ferito e anche a distanza di anni non ha mai smesso di sottolineare un dato statistico, alquanto significativo.
    «Quando sono uscito di squadra, a nove giornate dalla fine, avevamo cinque punti di vantaggio sul Torino. All’ultima giornata avevamo perso il campionato finendo a due punti dal Torino campione d’Italia ...»
     
    C’è un grande rimpianto nella carriera di Pietro Anastasi.
    La Nazionale di calcio sta ultimando la preparazione in vista degli imminenti mondiali messicani, al via il 31 maggio del 1970.
    Pietro sarà, esattamente come due anni prima nella finale degli Europei, il partner di attacco di Gigi Riva, il bomber del Cagliari e atteso come uno dei grandi protagonisti di quel campionato del mondo.
    I giocatori sono in radunati nell’albergo Parco dei Principi a Roma e Pietro, sempre allegro e in vena di scherzi, “tortura” il povero massaggiatore degli azzurri Carlo Tresoldi.
    All’ennesima giocosa provocazione di Anastasi il buon Tresoldi reagisce colpendo l’attaccante degli azzurri al basso ventre. Lì per lì sembra una cosa da nulla.
    Nella notte però i dolori ad un testicolo diventeranno insopportabili.
    “Pietruzzu” dovrà essere operato d’urgenza ... dicendo così addio ad un Mondiale e ad una maglia azzurra da titolare.
     
    Uno dei ricordi più dolci per “Pietruzzu” arriverà proprio nell’ultima stagione chiusa con l’Ascoli al quarto posto. E’ il 30 dicembre del 1979. L’Ascoli si reca a Torino per affrontare la Juventus. Sono passati solo otto minuti quando su un cross dalla sinistra di Adelio Moro è proprio Anastasi a battezzare meglio di tutti la traiettoria del pallone e ad infilare Dino Zoff con un preciso colpo di testa.
    La reazione del Comunale di Torino rimarrà negli occhi e nel cuore di Anastasi per il resto dei suoi giorni.
    Tutti in piedi ad applaudire
    la prodezza del loro indimenticato idolo.
    «Fu una sensazione incredibile. Era come se da Torino e dalla Juventus non me ne fossi mai andato».
     
    Pietro Anastasi ci lascerà nel 17 gennaio di quel 20200 che si portò via con lui anche Mariolino Corso e Pierino Prati, due simboli delle due grandi rivali della Juventus di quel meraviglioso e romantico periodo. Dopo aver sconfitto un tumore all’intestino ad Anastasi fu diagnosticata la terribile SLA. Dopo aver lottato strenuamente e con il male ormai irriversibile, come confermato dal figlio Gianluca, ha chiesto lui stesso la sedazione assistita.
    Il calcio italiano decise di non tributargli il dovuto minuto di silenzio sui campi della serie A.
    Un grave errore, una mancanza di stile e di rispetto ... quel rispetto che tutti quelli che hanno amato il calcio hanno avuto e avranno sempre verso questo “picciotto” coraggioso e testardo, che di scendere a compromessi non ne ha mai voluto saperne.

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